di Arianna Cito Petrangeli
Quando abbiamo ricevuto
Arianna ci ha mandato due testi. Il primo – qui di seguito pubblicato ‐ incalzante e poetico,
Entrambe testimonianze sono molto belle ed abbiamo deciso di pubblicarle tutte e due.
Eccomi qui, di nuovo a Teheran, sono tornata dopo solo qualche mese di assenza… Il paese che ho odiato e amato di più. Non ricordo ogni particolare di questi quattro anni passati in Iran, ma ecco perché mi sono innamorata di questo posto. Il Bazar Bozorgh e il meraviglioso Golestan, le passeggiate al Towchal mentre Martina tirava con l’arco, le mie prime incredibili lezioni di sci a 2500 metri a pochi minuti da casa, Dizin, Damavand, la funivia e la vista mozzafiato a Darbansar, le ore infinite nel traffico, le serate con gli amici, Nowruz, chahaar shambe suri e il salto del fuoco, la nostra casa, le nostre folli feste d’estate in piscina, le prime parole in farsi di Cecilia mentre giocava con Somayeh, Anna ed io a Tajrish, lo splendore della residenza italiana e i giorni interi passati tra barbecue e risate, gli infiniti cortei per la achoura, la gioia incontenibile dei giovani riversati per strada sperando in un cambiamento dopo l’elezione di Rohani, il club armeno dove senza remore si poteva bere un po’ di vino, pessimo, ma pur sempre vino, le cene tra le rocce a Darband, ammirare dalla finestra la magia dei tramonti sulla città, i tappeti, i firouzeh, le ripetute discussioni con la polizia perché mi ostinavo a guidare senza rusari (il velo che deve coprire capo e collo) quelle piccole cose che mi facevano sentire fiera di portare avanti la mia piccola battaglia privata contro il regime, tornare a casa il pomeriggio dal centro e restare ogni volta senza fiato ammirando la straordinaria bellezza delle montagne che circondano Teheran, la gita a Kelardash vicino al mar Caspio, le incredibili costruzioni di paglia e fango di Yazd, le torri del vento, il deserto, le dune, i nostri viaggi infiniti in macchina, il Caravanserraglio di Maziar a Garmeh e la deliziosa marmellata di datteri, i falò nel Dashte Kavir (il grande deserto salato al centro dell’altopiano iraniano), il campeggio a Dohesar nella foresta e i bagno nella pozzetta d’acqua calda sul fiume d’inverno, la pesca delle trote, la scalata al castello di Alamut, il lago salato di Ourumieh che da solo varrebbe un viaggio in Iran, il campeggio a -2 gradi a Pichebon e Nelson, il nostro cane, che ci ha salvato dai lupi, Qeshm, Bandarabbas e la meraviglia dell’isola di Ormuz, il giro in barca tra le mangrovie, l’emozionante sito della cittadella di Bam dopo il terremoto, le gite il venerdì a Karaj, Kashan con le sue magnifiche case Kajar, gli abiti e le coloratissime maschere delle donne del sud, il rosso intenso dei melograni, la raccolta dei datteri, i pistacchi, il giallo dello zafferano, il profumo del riso…
Tutte quelle costrizioni, che più mi avvilivano che più mi hanno fatto vacillare, la clamorosa limitazione di ogni diritto di ogni libertà, quel sentirsi sempre osservati, inadeguati in soggezione che tanto mi pesava mi ha aiutata a scoprire una me stessa di cui non immaginavo neanche l’esistenza. La felicità e l’orgoglio di vedere le mie figlie crescere meravigliosamente, in una società multietnica, così aperte e completamente prive di pregiudizi. La paura iniziale di tutto seguita dopo pochi mesi dalla straordinaria sensazione di sentirsi a casa. E ora che siamo rientrati in Italia, nei momenti di calma, quando tutti dormono, quando riesco a ritagliarmi un po’ di tempo tutto per me, ritorno con la mente a tutti quegli incredibili momenti e mi lascio andare ai ricordi… E allora rivedo Teheran, la neve, le montagne… le mie montagne…sempre.
Arianna Cito Petrangeli
Trailing spouse convinta e osservatrice dell’altro per passione, ha vissuto finora in tre diversi continenti oltre che, di passaggio, nella Città Eterna, circostanza che le ha consentito di sviluppare uno sguardo particolare sul mondo e sulle sue contorsioni, anche grazie agli studi di lingue e logopedia. Mamma di due bimbe e di due cani.