di Montserrat Márquez de Angulo Nava
E’ sufficiente menzionare il Canada per evocare l’immagine di spazi immensi, ricchi di natura incontaminata. Nel secondo Paese più esteso del mondo abitano appena trentasette milioni di persone e il rapporto con questa natura primordiale senz’altro influisce sulla loro personalità. Secondo la scrittrice Margaret Atwood, i canadesi da sempre devono fare i conti con l’idea di “sopravvivere”. A una natura ostile ma anche a un vicino ingombrante, a sud della frontiera.
La relazione con la natura colpisce in modo particolare a Ottawa, quando il Canale Rideau che attraversa la Capitale, si trasforma nella pista di pattinaggio sul ghiaccio più lunga del mondo e il Parco del Gatineau, a meno di mezz’ora dal centro, apre agli sciatori che qui approfittano di stagioni straordinariamente lunghe.
Il concetto di “sopravvivenza” diventa ancora più comprensibile quando ci si misura con temperature che scendono a – 30C in inverno, stagione particolarmente difficile da sopportare, per l’intensità del freddo e per la sua lunga durata. Passato l’incanto delle prime settimane, in cui ci si sente avvolti da una magica nube ovattata, bisogna adattarsi alla guida con gomme termiche, ai cambi di scarpe per l’interno e per l’esterno e a tutte le scomodità che vengono dal vivere sostanzialmente al chiuso, riducendo al minimo gli spostamenti all’aperto. Presto s’impara che quella che noi chiamiamo banalmente “neve”, in Canada può essere flurries (nevicate a raffiche) freezing rain (piogge ghiacciate) oppure wet snow (neve acquosa) a seconda delle temperature. Non ci si scorda più di cospargere di sale l’ingresso di casa per non scivolare sui lastroni di ghiaccio, e al volante si è ben consapevoli del black ice, un rischio “invisibile” sulla strada… Finché non ci capiti malauguratamente sopra!
Ottawa, a differenza di altre città canadesi, non ha una sua “città sotterranea”, un reticolo di gallerie che permette di muoversi da un grattacielo all’altro: per scampare al freddo bisogna restare negli onnipresenti centri commerciali. Anche per questa ragione i suoi abitanti, come tutti i canadesi che possono permetterselo, cercano di “spezzare” i lunghi freddi con un soggiorno in Florida, in Messico o nei Caraibi, paesi in cui le spiagge, in certi periodi dell’anno, sono letteralmente colonizzate dai cosiddetti snow birds del nord.
I canadesi amano anche la natura, né potrebbe essere altrimenti data l’estensione dei parchi e delle riserve naturali. Le città principali non mancano di ristoranti, teatri e intrattenimenti di ogni genere ma in generale si preferisce trascorrere il tempo libero nel cottage, per andare in barca d’estate, sciare d’inverno e, soprattutto, rilassarsi: con poche comodità, ma in compagnia della famiglia e di pochi amici veramente intimi.
In questo Paese, e a Ottawa in particolare, abbiamo trascorso ben otto anni della nostra vita nell’arco di due missioni diverse. La prima, da giovane coppia appena sposata e la seconda, a otto anni di distanza, con una figlia quasi adolescente. Abbiamo quindi potuto valutare la Capitale da prospettive diverse, cosa che oggi ci porta ad affermare con buon grado di obiettività, che si tratta di un posto ideale per allevare una famiglia proprio perché simile alla tipica città nordamericana, immersa nel verde, pulita, caratterizzata da sicurezza diffusa, case spaziose e un ambiente molto “civile”. La sua natura di “città per famiglie”, la rende tuttavia un po’ monotona e troppo “calma” per i più giovani. Non dimentichiamo, infatti, che Ottawa soffre della sua vicinanza con Toronto – centro economico e finanziario internazionale, paragonabile alle grandi metropoli Usa – e con Montreal, città culturalmente vivace e marcata dalla sua identità franco-canadese. Forse perché “schiacciata” da due pesi massimi, Ottawa non è riuscita a sviluppare una sua personalità autonoma e continua a vivere una dimensione duale: essere al contempo una capitale aperta al mondo e una cittadina da un milione di abitanti, forse un po’ assonnata e “provinciale” per chi è abituato ai ritmi di una metropoli. Poi, come in tutte le Capitali amministrative, qui vivono grandi comunità di espatriati da tutto il mondo, cosa che non agevola i contatti con la gente locale, abituata all’avvicendamento frequente di funzionari con stili di vita troppo diversi dai loro. I canadesi, infatti, sono assolutamente easygoing e si sentono a disagio con l’eccesso di formalismi. Forse per via delle loro radici anglicane e presbiteriane, disapprovano i privilegi e condannano l’ostentazione, e questo li porta talvolta a guardare alla comunità diplomatica con una certa diffidenza. Stabilire contatti, anche profondi, con la comunità locale non è quindi ne’ immediato ne’ scontato anche se la scuola, soprattutto per bambini e ragazzi, rappresenta un importantissimo terreno di aggregazione. Un altro collante sociale è poi lo sport che qui fa parte del quotidiano e si pratica facilmente, in ottime strutture e a poco prezzo se non addirittura gratuitamente. Ottawa, al pari delle altre città canadesi, è percorsa da diecine di chilometri di piste ciclabili. Dappertutto si gioca a hockey, lo sport nazionale, mentre pattinare sul ghiaccio non viene neppure considerata una pratica sportiva, ma un passatempo domenicale.
Ottawa è anche una Capitale di frontiera, non a caso eretta proprio sul confine tra Ontario e Québec, la provincia ex possedimento francese. Il bilinguismo qui è una realtà tangibile: basta attraversare l’Ottawa River – Rivière des Outauaises per giungere sulla sponda del Québec, dove le insegne sono in francese, l’idioma corrente. La stagione del separatismo sembra esser definitivamente archiviata ma il bilinguismo, oltre a essere un obbligo normativo, è un dato acquisito soprattutto nelle scuole pubbliche che non smettono mai di offrire gettonatissimi corsi intensivi di francese. Il multiculturalismo, benché temperato dal forte attaccamento alle radici e alla cultura britannica, è senz’altro motivo di vanto per questo Paese che, più recentemente, ha voluto inserire a pieno titolo fra le “First Nations” anche le popolazioni aborigene canadesi le cui storie oggi fanno parte della cosiddetta narrativa nazionale. Il capitolo “multiculturalismo” non sarebbe completo senza citare la grande comunità italo-canadese, con oltre un milione e mezzo di cittadini d’origine italiana, una delle più numerose e influenti del Canada. Non esiste città dove non siano presenti italo-canadesi, il più delle volte bene inseriti ed affermati professionalmente. Non solo non hanno scordato del tutto l’italiano, ma addirittura vogliono che figli e nipoti lo imparino. I canadesi infatti amano l’Italia che, ai loro occhi, è sinonimo di buona cucina, stile, arte e vacanze da sogno. Sarebbe infine difficile comprendere il Canada senza cimentarsi nel complesso rapporto di amore-odio con gli Stati Uniti. I canadesi – come efficacemente descritto nella metafora del topolino costretto a stare accanto all’elefante – non vivono sempre serenamente questo rapporto sproporzionato con l’ingombrante vicino meridionale. Per questo ci tengono a distinguersi dagli americani tutte le volte che possono: ricordando per esempio tutte le numerosissime star internazionali – Christopher Plummer, Dan Arkroyd o Pamela Anderson, per citarne alcune – che in realtà hanno il passaporto canadese, oppure facendo paragoni da cui escono inevitabilmente vincenti rispetto i loro vicini, tacciati di arroganza e superficialità.
Montserrat Márquez de Angulo Nava
Nata a Madrid, si e’ laureata all’Universidad Complutense madrilena in Scienze dell’Educazione e Filosofia, per poi abbracciare la carriera dell’insegnamento della lingua spagnola che ha potuto portare avanti, tra una sede e l’altra, soprattutto durante le permanenze a Roma. Con il marito diplomatico e la figlia, ha vissuto a New Delhi, Ottawa e Houston. E’ membro del Coro ACDMAE
Grazie mille! Migliore fonte di informazioni sulla vita pratica a Ottawa!