di Maria Rosaria Gallo Colella
Nominato secondo paese più felice al mondo dal “World Happiness Report” delle Nazioni Unite, la Norvegia vive da qualche tempo una posizione di privilegio in un continente, l’Europa, dove la crisi economica ormai endemica sembra minare la fiducia, l’ottimismo e la voglia di lottare dei suoi cittadini.
Mobilità sostenibile, disoccupazione al minimo, Pil altissimo, grande attenzione alla sostenibilità ambientale sono solo alcuni dei punti di forza di questo paese di 2 milioni di abitanti di cui 650mila solo nella capitale Oslo, eletta European Green Capital del 2019.
Ma esiste una ricetta per raggiungere e mantenere tanta prosperità?
Molti norvegesi, anche autorevoli, attribuiscono il segreto di questa straordinaria stabilità, tra l’altro, alla posizione strategica della Norvegia all’interno dello spazio economico europeo senza essere parte dell’ Unione Europea.
Si è parlato a lungo in questi ultimi mesi della Brexit e della possibilità che il Regno Unito uscendo dall’Unione Europea assuma una posizione simile alla Norvegia per quanto riguarda gli scambi commerciali, economici e la circolazione di beni e persone all’ interno del continente.
Il paese scandinavo con l’adesione all’Associazione europea di libero scambio (Efta) e all’Area economica europea gode infatti di una serie di innegabili vantaggi. Solo per citarne alcuni, l’accesso al libero mercato UE, l’inclusione dell’area Schengen e la possibilità di coordinare le proprie attività economiche con gli altri Paesi membri dell’UE.
Per la Gran Bretagna, che vive un momento di caos politico e sociale a causa della Brexit, sarebbe certamente positivo poter acquisire gli stessi vantaggi all’ interno dell’ Unione Europea senza dover patire gli svantaggi dovuti dall’essere Paese membro dell’UE in senso stretto. Logicamente, sostengono in molti, se questo avvenisse per la Norvegia si porrebbero dei problemi sia nei rapporti bilaterali con il Regno Unito, che verrebbero danneggiati dalla mancanza di accordi tra i due paesi, sia per quanto riguarda la sua posizione all’ interno dell’area economica europea. E questa convinzione non è certo taciuta: alcuni mesi fa, in un’intervista al Financial Times, la Premier Erna Sølberg si dichiarò assolutamente contraria a tale possibilità, sottolineando come l’area economica europea avesse un senso nel caso di paesi piccoli (Svizzera, Islanda, Liechtenstein e Norvegia, appunto), ma che sarebbe risultata completamente squilibrata con l’entrata in campo di un paese economicamente potente quale la Gran Bretagna.
La situazione è al momento molto fluida; il dibattito avviato due anni fa con il referendum sulla Brexit sembra essere giunto ad un punto morto, soprattutto in questo periodo di ricambio ai vertici politici europei.
Nel frattempo la Norvegia continua a difendere la posizione privilegiata di cui gode in quanto – è giusto ricordarlo – contribuisce anche al Bilancio comunitario: prima di tutto, la possibilità di essere ammessa in un mercato di 500 milioni di possibili acquirenti; un enorme spazio economico dove esportare la maggior parte dei suoi beni, godendo tra l’altro del vantaggio del coordinamento internazionale che standardizza, solo per fare un esempio, i parametri nella produzione dei beni e nella loro circolazione. Accordi bilaterali con i singoli paesi garantiscono alla Norvegia la possibilità di disciplinare settori nevralgici quali la pesca, il turismo, l’esportazione, la circolazione di beni e cittadini; ritagliandosi però una grande autonomia in una serie di ambiti che non rientrano nel libero mercato europeo, ma al contrario sono fortemente nazionalizzati. Ne è un esempio l’agricoltura: per ovvie ragioni climatiche e territoriali la produzione alimentare norvegese verrebbe annullata dalla importazione massiva di beni da paesi più produttivi. Si è quindi provveduto a fissare monopoli e tassi di importazione proibitivi, pur di favorire i produttori locali.
La pesca, poi, gode di regolamentazioni speciali che garantiscono l’esportazione di grandi quantità di pescato a prezzi vantaggiosi per i pescatori locali.
Aggiungerei che la Norvegia e’ di gran lunga molto più coesa di altri Paesi europei: un popolo estremamente geloso della propria sovranità per motivi storici, culturali, sociali. Uno stato monarchico e fiero di esserlo – ufficialmente il “Regno di Norvegia” – che dopo millenni di dominazioni e invasioni straniere ha raggiunto la stabilità, ma soprattutto il benessere, grazie al ritrovamento di giacimenti petroliferi e che difficilmente accetterà di sottoporsi al governo altrui.
Esiste però una grande tradizione di mediazione internazionale; proprio in virtù della sua immagine di paese piccolo, coeso e stabile, la Norvegia si offre come arbitro nel dirimere annose controversie tra stati: il più grosso successo è stato la mediazione tra Stati del Medio-Oriente sfociato negli “Accordi di Oslo”.
Ultimamente la Norvegia ha offerto la propria mediazione anche ai contendenti del martoriato Venezuela e Oslo ha ospitato una conferenza internazionale su “Sexual e Gender-based violence in humanitarian crisis”, che ha visto la presenza in città sia degli addetti ai lavori, che delle vittime chiamate a testimoniare le atrocità subite.
Si dice che la Norvegia è “il Paese della fiducia” nel prossimo. Eppure per ben due volte (nel 1972 e nel 1994) i suoi abitanti, tramite referendum, si sono rifiutati di entrare nell’Unione Europea pur avendone, ovviamente, i requisiti.
Fiducia sì, allora… Ma nelle proprie potenzialità prima di tutto.
Maria Rosaria Gallo Colella
Napoletana di nascita e temperamento, si è laureata presso il prestigioso Istituto Orientale della città partenopea. Le lingue le ha poi praticate accompagnando il marito all’estero e seguendo le avventure scolastiche dei loro cinque figli.
Ha vissuto a Belo Horizonte, New York, Brasilia e Ginevra. Dalla nuova sede, Oslo, ha la “pretesa” di continuare a seguire le sorti della rivista, oltre che gli itinerari universitari dei figli sparsi per l’Europa!