di Susanna Bonini Verola
In Inghilterra se ne parla ininterrottamente da quasi tre anni mentre l’Europa, sull’uscita di Londra dalla “casa” europea, cerca di mantenere un atteggiamento più distaccato. Forse perché i problemi più pressanti per noi sono altri: immigrazione, disoccupazione, crisi economica. Forse perché il negoziato ha fatto intravvedere che i veri costi (politici ed economici) di un divorzio sono Oltremanica, mentre nel Vecchio Continente si sta facendo strada la convinzione che l’Unione – a 27 o a 28 Paesi – assorbirà il colpo.
Ma siamo sicuri di sapere a cosa si andrà incontro? Tanti nostri soci hanno vissuto in Inghilterra o vi abitano tuttora. La amano profondamente e l’hanno scelta per la formazione dei loro figli. Per questo abbiamo voluto approfondire l’argomento: senza addentrarsi in spiegazioni su negoziati che sono, anche per gli addetti ai lavori, complicatissimi, ma provando a chiarire gli scenari con chi li sta tenendo sott’occhio.
A darci il polso della situazione è, infatti, il Ministro Plenipotenziario Vincenzo Celeste, oggi Vice Capo di Gabinetto del Ministro Enzo Moavero Milanesi. Come Vice Capo missione a Londra, dal 2013 all’anno scorso, Celeste è stato testimone diretto sia del clima che precedette il “No” britannico all’UE, che del caos seguito al risultato-shock del referendum. E ha anche osservato le conseguenze provocate, nel marzo 2017, dalla formalizzazione della richiesta britannica di recedere: 300mila italiani residenti, regolarmente registrati all’AIRE, e altrettanti almeno non registrati, cioè una delle comunità italiane più grandi al mondo, nel panico e in cerca di risposte che ben pochi, in quelle ore concitate, erano in grado di fornire. I nostri uffici, tuttavia, non si fecero trovare impreparati. Il giorno dopo la fatidica lettera del Governo britannico, sul sito web della nostra Ambasciata e dei due Consolati italiani (a Londra ed Edimburgo) c’era già una “Pagina Brexit”, regolarmente aggiornata, con sezioni di informazioni approfondite su ciò che stava accadendo, inclusa una lunga pagina di “Q&A” che rispondeva ai quesiti più ricorrenti: dall’informazione banale (“cosa significa Brexit?”) all’iter burocratico da seguire per regolarizzare la propria posizione.
“Abbiamo cominciato a progettare questo servizio di assistenza ben prima che Londra presentasse domanda formale per uscire dall’UE”, spiega Celeste. Dopo una serie di contatti con la sezione italiana dell’associazione “The 3 Millions”, la più grande lobby per i diritti dei circa tre milioni di cittadini comunitari in Gran Bretagna, era apparso evidente che sarebbe stato necessario assistere i nostri concittadini con la preparazione d’informazioni affidabili e puntuali. “L’Ambasciata italiana – prosegue – è stata la prima tra le Ambasciate dei Paesi UE a lanciare una Pagina Brexit spiegando cosa era accaduto e cosa verosimilmente sarebbe potuto succedere”. Il servizio riscosse immediato successo e fu d’esempio anche per la Commissione Ue che, solo più tardi, sarebbe scesa in campo per coordinare l’informazione destinata ai Paesi membri. Ad oggi questa Pagina ( https://amblondra.esteri.it/Ambasciata_Londra/it/informazioni_e_servizi/brexit/brexit.html) regolarmente aggiornata, è una delle più esaurienti tra quelle a disposizione dei cittadini europei. Quando alla casella postale londra.brexit@esteri.it (tuttora attiva) arrivano quesiti che non trovano risposta nella Pagina Brexit, i nostri servizi consolari e diplomatici provvedono a “coprire” il vuoto temporaneo e rispondono aggiornando contestualmente la pagina. Un vero e proprio “Helpdesk” che è risultato particolarmente utile perché, sottolinea Celeste, “Brexit è qualcosa di assolutamente straordinario e le conseguenze, soprattutto in merito al trattamento dei cittadini comunitari Oltremanica, non potevano esser chiare a tutti, neppure ai giornalisti”.
Per fortuna quest’aspetto, nel frattempo, è stato meglio definito. Nonostante l’ennesimo rinvio della ratifica dell’accordo tra Londra e Bruxelles, il pasticcio delle elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento e il rischio sempre più concreto di un “no deal scenario”, oggi sappiamo che l’eventualità di possibili violazioni dei diritti acquisiti, in caso di Brexit, sono alquanto remote. “Se l’accordo di recesso sarà ratificato dal Parlamento britannico – puntualizza Celeste – ai cittadini comunitari saranno garantite tutele quasi integrali, anche se, ovviamente, nulla potrà uguagliare la libera circolazione”. In caso di “no deal”, invece, sono le Autorità britanniche ad aver ripetutamente assicurato che gli europei residenti a Londra prima della Brexit godranno degli stessi diritti garantiti fino ad oggi, mentre quelli arrivati dopo saranno trattati secondo quanto previsto dal diritto britannico. A scanso di equivoci, è bene ripeterlo, sia Londra che Bruxelles, durante i negoziati, hanno messo le mani avanti contro l’utilizzo dei rispettivi cittadini come pedine di scambio. La principale differenza tra i due scenari – precisa subito il ministro – è che “dopo Brexit, in caso di controversia sullo status di cittadino comunitario, si potrà adire la Corte UE di Giustizia se sarà in vigore l’accordo. Se non lo sarà, la competenza passerà alle Corti britanniche la cui indipendenza è comunque comprovata”.
E “Brexodus”, invece, è già una realtà? Anche in questo caso, assicura Celeste, l’allarme è stato forse preso troppo sul serio perché “è ancora un fenomeno piuttosto limitato”. L’economia britannica ha sempre bisogno di lavoratori qualificati e capaci, qui ancora meglio retribuiti che altrove. Discorso diverso per l’immigrazione stagionale e meno qualificata che, purtroppo, ha già drasticamente risentito della Brexit. A farne le spese, secondo Celeste, sono stati, per esempio, tanti ristoranti italiani d’Oltremanica che prima riuscivano ad attrarre in quantità giovani dal Bel Paese alla prima esperienza lavorativa ed ora stanno facendo i conti con la penuria di camerieri e baristi. In difficoltà anche la sanità pubblica britannica che era già stata penalizzata dai tagli di bilancio imposti dalla grande crisi del 2009, mentre sul futuro dei prestigiosi college inglesi finora hanno circolato soprattutto “speculazioni”, tranquillizza Celeste: “Londra – indipendentemente dall’accordo di recesso – ha già deciso unilateralmente di non modificare le rette degli studenti europei già iscritti prima della Brexit”. Il tanto temuto raddoppio delle “tuition fees” sarebbe quindi il frutto di un’ipotetica equiparazione fatta dai media con le rette pagate dai cittadini extracomunitari. Qualcosa che Londra non sembra intenzionata a fare, anche nel caso di “no deal”. O comunque intenderebbe al massimo limitare a quanti si iscriveranno dopo la Brexit.
Con un saldo commerciale positivo di circa 11 miliardi di euro con la Gran Bretagna, nel nostro Paese, un grande esportatore, qualcuno teme di dover pagar caro il divorzio. Eppure, anche in questo caso, “è tutto da vedere”. Potrebbe risentirne negativamente il settore lattiero caseario almeno a giudicare da alcune dichiarazioni dei Ministri britannici. Ma in futuro Bruxelles potrebbe adottare aiuti mirati come già richiesto, per esempio, da Dublino.
Ironia della sorte, mentre noi ci chiediamo se saremo pronti alla Brexit, Londra ha chiesto all’UE una ulteriore estensione dell’art.50 del Trattato UE, ovvero altro tempo (fino al 31 ottobre) per approvare in Parlamento l’accordo sul recesso “ordinato”. Un lungo addio, insomma, con pochissime ragioni per brindare e la tenue speranza che, per dirla col nostro interlocutore, “ci siano ancora chance per l’accordo, perché è nell’interesse di tutti”.
Susanna Bonini Verola
Ha vissuto a Parigi, dove ha terminato gli studi in Scienze Politiche, Bruxelles e Washington. Giornalista professionista e TV Producer, ha lavorato nelle trasmissioni di approfondimento di RaiNews24-Rai 3 e per i notiziari TV di Euronews (Lione). Dopo varie collaborazioni con radio e magazine, approda ad Adnkronos con cui collabora per oltre 10 anni. Rientrata a Roma è attualmente impegnata nelle attività della No-Profit “US-Italy Global Affairs Forum” e coordinatrice di questo Notiziario.