Dalla Cina con stupore, diario tragicomico di una mamma in fuga
29 gennaio 2020 – Eccomi. Sono io. Sono forza, coraggio e intraprendenza. Stella d’Oriente e Occidente, avventuriera sfrontata, traghettatrice d’innocenti, instancabile condottiera. Sono io. Lo ammetto, non è stato facile ma ce l’ho fatta. Se mi sento un’eroina? Direi proprio di sì vista la criticità della missione.
Svegliati! Apri gli occhi! Aprili! Il fascio di luce degli abbaglianti illumina dei cespugli e un pezzo di campagna intorno a me. Devo aver perso il controllo del corpo e caduta per qualche istante nel sonno paradosso col cervello attivo ma pieno zeppo di deliri di onnipotenza.
Ma dove mi trovo? È notte. Ed è una notte davvero buia. Sembra quasi che la luna sia scivolata dietro il profilo degli alberi intorno e sopra centinaia di stelle a decorare. Mi giro. I bambini dormono. Sono tre. L’altra madre che è con me cerca disperatamente di connettersi ma non c’è campo, non c’è rete.
Il ticchettio molesto delle quattro frecce mi induce a dare un’occhiata al cruscotto. Il serbatoio è pieno e la scoperta di avere benzina mi rincuora. A destra l’orologio. Segna le tre e dieci. Apro lo sportello. Scendo. E penso che l’unica cosa che vorrei davvero è una sigaretta e mi domando perché mai abbia smesso di fumare.
È freddo. Vorrei prendere a calci la ruota ma le gambe sono così spossate che a stento riesco a muoverle. Allora penso che l’alternativa sarebbe urlare ma sveglierei i bambini. Perché ora lo so per certo. Mi sono persa.
Sette giorni prima – È da poco iniziato il capodanno lunare e Pechino è quasi vuota. È l’unico periodo dell’anno in cui i cinesi smettono di lavorare e tutto quel vortice frenetico e quotidiano di migliaia di persone, auto e biciclette si calma. Insostenibile è la bellezza di questa città in questo momento e mi piace starci. E goderne. Pedalo nei vecchi hutong e mi perdo nei suoi dedali ridondanti di profumi e afrori. Pechino è colore. È il rosso lacca delle lanterne appese in ogni dove, è l’oro dei fregi alle porte della città. È il disordine dei panni stesi ad asciugare su fili ingarbugliati, è rumore di clacson di vecchi carretti che sgomitano in queste stradine strettissime. E a equilibrio il silenzio degli anziani giocatori di mahjong nelle corti delle case e la perfezione delle coreografie dei guang chang wu, i balli in piazza delle donne cinesi che danzando salutano il nuovo anno. Che quest’anno è del topo. Animaletto intelligente, accorto e scaltro il topo simboleggia fascino e ambizione. E porta fortuna. Si, il 2020 sarà un anno fortunato, me lo sento! Anche se a pensarci bene è iniziato con mezza Australia devastata dagli incendi con koala e canguri in mezza estinzione, dall’Europa poi la notizia che Harry e Meghan hanno deciso di lasciare la Royal Family, insomma non è che sia proprio partito in fasto questo anno del topo ma gennaio sta finendo, è già successo abbastanza e da adesso in poi solo buone notizie.
Sola in casa mi affaccio alla finestra e mi accorgo che la città improvvisamente appare diversa. Bizzarro che in poche ore si sia trasformata in una città fantasma. Vero è che durante il capodanno in parecchi lasciano la capitale ma questo brusco svuotamento mi sorprende. Ed è come se nell’aria ci fosse un peso, un peso grigio, un alone che la opacizza e un silenzio quasi sinistro.
Scendo in strada e i pochi che incontro hanno la mascherina eppure l’aria non è malsana e l’applicazione dell’inquinamento me lo conferma. E allora perché? Risalgo a casa, nell’ascensore non incontro anima viva. Cambio idea. Vado al supermarket e … sorpresa!!! Non c’è nessuno. Mi cade l’occhio sull’angolo mascherine, finite. Ed è vuoto anche lo scaffale delle uova assieme a quello della carne. Ma cosa sta succedendo?
Torno a casa. Prendo il cellulare italiano. 35 messaggi, leggo l’ultimo che mi invita a non uscire di casa e a richiamare al più presto. Accendo il televisore e l’enigma si potenzia, capissi una sola parola! Niente. Sottotitoli neanche l’ombra poi. Ma nelle immagini ricorre una pallina grigiastra decorata con aghi rossi, chissà cosa sarà? Forse un satellite ipertecnologico? Ci sono, ci sono! È un meteorite che distruggerà mezzo mondo e che sta per cadere su Pechino ed ecco spiegata tutta questa desolazione. CNN, trovata finalmente! Wuhan, provincia dell’Hubei, Cina centrale. Scoppiata un’epidemia causata da un virus nato in un mercato di animali selvatici, un pipistrello avrebbe funto da vettore con l’uomo. Il numero dei contagi è già alto e continua a salire. Il telefono non smette di squillare. Spengo tutto. Suonano alla porta. È la mia amica tedesca che abita al ventitreesimo. Indossa guanti, mascherina, occhialoni da sci. E in mano una tanica di disinfettante per me. “Copriti tutta” mi dice “il virus attacca le mucose e disinfettati sempre”! “Parto domani” esclama “in Europa saremo al sicuro. Pensaci e pensa ai tuoi figli”. Che cosa sta dicendo? Io sto sognando e questo è un incubo. Per alcuni istanti chiudo gli occhi e mi ripeto quasi come un mantra che è solo un brutto sogno da cui presto mi sveglierò. Riapro gli occhi. In mano una bottiglia di antisettico e in viso una lacrima lenta.
L’alba del 29 gennaio – Al 2010 l’aeroporto di Pechino capitale era il secondo aeroporto più trafficato al mondo. Questa mattina, ad occhio, solo qualche manciata di persone. Nessuna fila al check-in e una sala d’attesa desolata e condita con colonnine di igienizzanti. A sorpresa il volo è pieno e sono così bardata alla CSI che i miei figli a stento mi riconoscono. Mi guardo le mani e sono così sanificate da aver perso sensibilità, ho doppia mascherina e respiro con grande fatica, gli occhiali sono appannati, non vedo niente, ho caldo, sudo da grondare e sarà così per le prossime ore di volo perché tutto e tutti oramai sono minaccia.
Roma-Fiumicino, 5 del pomeriggio – I bagagli ci sono tutti. Anche i bambini. Riconto. Siamo tutti. E siamo in Italia. Ora è tutto in discesa. Vado al noleggio auto e poco importa se la procedura si prolunga per quasi un’ora e il ragazzo che mi segue mi parla con un bavaglio alla bocca perché ha capito che vengo dalla Cina. Ora è tutto in discesa. E importa ancora meno se al raccordo imbocco l’Aurelia e arrivo a Maccarese per andare nelle Marche, io ora sono in Italia e ho portato in salvo i miei figli.
Dopo un’ora e mezzo di vani tentativi il miracolo… Lunghezza! Ora sono rilassatissima, conosco molto bene questa strada, potrei guidare a occhi chiusi, tranquilli, tranquilli tutti, vi porterò a destinazione. Ed ecco l’ultimo autogrill prima del Gran Sasso, sosta meritatissima, ho proprio bisogno di un buon caffè e anche di un “gratta e vinci”, la sorte può solo sorridere ora. Sono felice, in meno di tre ore arriverò e tutta questa fatica sarà finita. Perché ora è tutto in discesa.
Riparto. I bambini continuano a dormire. Meglio così! Non ci credo. Non è possibile. Il traforo del Gran Sasso è chiuso. Sbarrato. Segnalato. Lampeggiante. Chiuso. Obbligo di svolta a destra. Ed eccolo lì il notorio bivio della vita. Quante volte ho sentito amici esclamare “Hai presente quando la vita ti mette di fronte a un bivio”? ed io, rapita e incosciente, annuivo. Quando mai? Non mi sono mai trovata di fronte ad un incrocio, sicuramente mai esistenziale. Ma ora eccolo il bivio della salvezza, fisico, in bilico e mezzo arrugginito, a destra indica la funivia del Gran Sasso e a sinistra Assergi…Assergi? Ma dove si trova? Dove devo andare? Scelgo lei, scelgo Assergi. E vado. È buio pesto, non un lampione, non un passante a cui chiedere informazioni e una segnaletica praticamente inesistente. Accelero, vedo poco e male, il collo, il dolore alla cervicale aumenta, sono stanca, non dormo da troppe ore e guido da quasi nove. La macchina inchioda. Ho ancora la prontezza di frenare. L’unico cartello incrociato ammoniva sull’attraversamento di animali selvatici ed eccola qui infatti l’allegra famiglia Cinghiale, madre e tre pupi al seguito. Schianto evitato.
Dio delle strade, protettore degli incapaci e dei disorientati aiutami tu perché io da sola non ce la faccio, io non ce la faccio più! Accosto. Mi fermo. Posiziono gli abbaglianti e attivo le quattro frecce. Cinque minuti, ho solo bisogno di cinque minuti per chiudere gli occhi e non avere più paura.
Civitanova, Piazza XX Settembre – Il cartello segnaletico dell’Adriatica era poco più avanti a dove mi ero fermata, coperto da qualche ramo, mancavano solo 150 chilometri alla fine del viaggio. La piazza è deserta e silenziosa, riconosco il municipio e il suo orologio segna le quattro e quaranta. C’è solo l’edicolante che scarica i quotidiani ancora caldi. I bambini si sono svegliati. Tra un po’ albeggerà. E mi ripeto che non c’è notte che non abbia incontrato il giorno. Ora è tutto in discesa, sono in Italia e sono al sicuro. Niente potrà più accadere.
Alla prossima puntata…
FdM
Ho letto il tuo diario con passione e partecipazione. Che bella penna la tua! Scrivi benissimo! Attendo con ansia di leggere il seguito… 😉
Carissima Eleonora, grazie di cuore, le tue parole mi entusiasmano! Vedremo cosa succederà 😉😉😉un caro saluto
Che racconto! Bravissima, per il racconto e per aver affrontato il bivio con tanta positività!
Letto tutto d’un fiato…complimenti è travolgente!
Intensa, ironica, brillante e senza mai concedere nulla al vittimismo. FdM, forza e coraggio, la Redazione di Altrov’e’ ti aspetta e non vede l’ora di pubblicare la 2 puntata. E tutte quelle che verranno!
Susanna, che dirti? Felice? Di più! Grazie per l’energia che mi regali! Tanti baci…la libertà è vicina…almeno spero 😉
Ti ho seguita riga per riga, trattenendo il fiato…così ho quasi vissuto con te la stanchezza, l’angoscia e la tensione! Brava proprio una bella penna!! 👏👏👏
Ti ho seguita riga per riga, trattenendo il fiato…così ho quasi vissuto con te la stanchezza, l’angoscia e la tensione! Brava proprio una bella penna!! 👏👏👏
Cara Francesca una scrittura dinamica e di suspense, inoltre avendo vissuto in Cina mi prende ancora di più il tuo racconto! Penso che davvero noi “consorti” ci troviamo in situazioni incredibili che per fortuna ci fanno anche ridere, per fortuna! Aspetto il seguito ! Un abbraccio nicoletta
Grazie mille per questo racconto pieno di ironia, ritmo, sorrisi, suspence ma anche commozione. Le avventure delle madri contengono sempre tutto questo… complimenti!
Francesca cara, grazie di cuore, e mi fa piacere leggere “commozione”, volevo trasmettere anche quella😉ti abbraccio
Nicoletta Cara, xiexie ni😀😀😀hai proprio ragione,l’importante è riuscire a riderci! Grazie per le tue bellissime parole😉
Milena carissima, grazie davvero, felicissima ti sia piaciuto 😉
Bellissimo racconto! aspetto con ansia la seconda puntata… perchè ci sarà una seconda puntata, vero? Bravissima e ben arrivata tra noi di Altrov’è! Marzia
Fra!? Mi hai lasciata così????
Io voglio il seguito…assolutamente.
Sapevi scrivere già da ragazzina e averti sentito a voce raccontare un po’ di questa tua fantastica/tragicomica avventura, non fa altro che desiderare di leggere ancora…
Ma presto! 😘
Francesca, sei bravissima, continua a scrivere.
Manu