di Fabiana De Vincenzi
Sandro Veronesi è uno scrittore ormai famoso, soprattutto dopo il secondo Premio Strega vinto con Il colibrì. Ancora pochi sanno, tuttavia, che è anche architetto “mancato”, com’è stato sottolineato durante l’incontro con l’autore organizzato al Museo MAXXI lo scorso mese. Mancato? Probabilmente no.
Ad intervistarlo sui temi dello scrivere e dell’abitare e su come il primo può impattare il secondo c’è Pippo Ciorra, architetto anche lui oltre che docente e senior curator del museo, al quale Veronesi confida i ricordi delle prime esperienze professionali e l’importanza degli anni trascorsi alla Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze. Un tempo così formativo da sembrargli strano, ancora oggi, chi invece sceglie di studiare altro, come se l’architettura fosse un passaggio fondamentale nella vita di ognuno, come è stato per lui. D’altronde anche il padre, ingegnere, sa trasmettergli la passione per le strutture e lo fa in modo semplice, dimostrandogli ad esempio il principio della resistenza per forma con un gioco di piegature di un foglio, trasformandolo da oggetto incapace di reggere financo se stesso, in uno capace di sostenere un peso. Ed è sempre struttura quella che Veronesi sente di aver acquisito attraverso i 30 esami, tutti pesanti come macigni, ognuno una piegatura a formare l’uomo, architetto-scrittore. Una ulteriore testimonianza di questo suo dualismo sarà la scelta della tesi di Laurea su Victor Hugo col quale condivide questa doppia anima: anche Hugo, considerato uno dei padri del Romanticismo francese, si cimentò in numerosi campi e non da ultimo si occupò proprio di architettura. Convinto sostenitore del restauro conservativo, lo scrittore francese visitò i più grandi cantieri di Francia, oltre a scriverne, cercando di impedire le demolizioni e di influenzare l’approccio dell’epoca al già costruito. Quasi un’anima gemella per Veronesi che non si sente portato per inventare spazi, piuttosto per conservare bellezza, storia, memoria. Come Marco, il protagonista de Il colibrì, che stila un lunghissimo inventario di oggetti di design appartenuti ai genitori architetti, che diventano attivatori di memorie del passato e, perciò, cari. Molti sono i riconoscimenti che Veronesi attribuisce attraverso questo semplice elenco nella narrazione: quello della validità dei designer che hanno progettato quegli oggetti, nei quali la funzione e l’estetica si sono fuse fino a non poter più distinguere cosa fosse ascrivibile all’una e cosa all’altra; quello della capacità dell’industria italiana che intorno agli anni ‘60 produce pezzi straordinari e accessibili e che, proprio per questo atteggiamento, sarebbero finiti nelle case di tutti e ci sarebbero rimasti per tantissimo tempo, diventando cari come una foto di famiglia. Sandro Veronesi non progetta spazi fisici, e forse anche per una sorta di estremo senso di responsabilità – “Un libro brutto lo puoi evitare, un’architettura brutta no” – ma se questo non è un architetto…
Fabiana De Vincenzi
Dopo la laurea in Architettura a Napoli si trasferisce con il marito a Sarajevo dove collabora con lo studio Grupa Arh e tiene lezioni sull’architettura italiana all’Università di Banja Luka. A Vienna segue corsi di specializzazione in Building Science and Technology alla TU Wien e lavora come designer di arredi, luci e gioielli. Al rientro a Roma collabora con lo studio Bevivino & Partners per quattro anni. Dal 2016 lavora in proprio dedicandosi all’ambito residenziale. E’ iscritta all’Ordine degli Architetti di Roma dal 2013.
Che bell’articolo Fabiana! Da un lato ci fa scoprire il lato sconosciuto di uno scrittore, dall’altro ci fa riflettere come anche noi consorti a causa dei continui traslochi e degli oggetti che provengono da ogni angolo del mondo siamo qualche volta “architetti mancati”
Grazie Milena!Sarebbe un esercizio da fare no? Contare le proprie anime/aspirazioni/capacità…ci aiuterebbe di sicuro.La tua seconda da architetto la certifico personalmente!)
Cara Fabiana, la tua capacita’ di raccontare l’architettura mi entusiasma sempre di più. La tua “sintesi nella sintesi” (architettura-scrittura) e’ stata mirabile e assolutamente “inspiring”. Felice di “certificare personalmente” la tua seconda anima da redattrice!
Ma che brava che sei Fabiana! E riesci pure ad essere perfettamente sintetica, in questa rivista dove tutte ci “allunghiamo” sempre un po’ troppo!
Mi viene da farti una domanda alla Marzullo: Veronesi ti piace di più quando parla da architetto o da scrittore? 😉