di María del Rocío Ferrero López
Nel novembre del 2016 eravamo in Nicaragua da poco più di un anno, dopo averne vissuti quattro in Australia, ed ero ben consapevole dell’enorme cambiamento che questo trasloco avrebbe comportato. Si era trasferita tutta la famiglia: io, mio marito, i due figli e tutte le nostre cose, compreso il piccolo violino che mia figlia di sette anni stava imparando a suonare, uno strumento che già allora aveva bisogno di essere aggiustato. Sentivo che di tutte le sfide che avrei dovuto affrontare nella nuova realtà, quella di trovare un posto per sistemare il violino sarebbe stata certamente la più bizzarra e impegnativa.
Ammetto di avere sempre avuto una grande passione per i lavori artigianali e un’incontenibile curiosità per la fattura e il funzionamento degli strumenti in generale tanto da aver desiderato, a volte, di provare ad aggiustare il violino da sola. Lo guardavo chiedendomi se la sua forma così particolare fosse necessaria per restituire una musica tanto bella, oppure se quelle forme vagamente rococò fossero solo un vezzo estetico capace di donare al violino quell’aura di mistero che ci avvolge quando lo vediamo e che arrivava anche ad intimidirmi per la sua sinuosità delicata ed austera allo stesso tempo.
Con lo scetticismo tipico di chi passa da una città come Sydney, dove è difficile non trovare qualcosa, a una città come Managua, dove sembra difficilissimo trovare qualsiasi cosa, ho cercato su Internet un posto dove sistemare il violino, allargando mentalmente il campo di ricerca fino, addirittura, al Costa Rica. E con mio grande stupore, è apparsa subito una pagina Facebook dedicata a “Casa Luthier Nicaragua”. Non ci potevo quasi credere! Mai avrei immaginato, infatti, che le due parole – Liutaio e Nicaragua – nella stessa stringa di ricerca potessero produrre un risultato. E, invece, mi sono subito messa in contatto con quella pagina ricevendo conferma di aver trovato non solo un posto dove aggiustavano strumenti a corda, ma dove li fabbricavano pure!
“Casa Luthier” era gestita da un giovane nicaraguense, Luis Felipe Zamora, specializzato nel restauro degli strumenti, mentre altri suoi colleghi, come Daniel Dominguez, si occupavano esclusivamente di archetti. Ovviamente ebbi subito voglia di sapere come fossero riusciti ad aprire quel laboratorio e perché avessero imparato l’antica arte liutaia in un Paese come il Nicaragua, con una grande passione per la musica, ma senza alcuna tradizione specifica in questo campo. Felipe allora mi raccontò come, anni prima, un famoso liutaio e un’esperta archettaia, entrambi tedeschi, fossero approdati in Nicaragua con il loro container colmo di attrezzi, strumenti donati in beneficenza, legno e tutto il necessario per aprire una bottega liutaia. Avevano poi dedicato il loro tempo ad insegnare il mestiere di liutaio a un gruppo di giovani del posto e, dopo aver loro trasmesso i segreti dell’arte e avviato un primo laboratorio artigianale, perfettamente funzionante, erano tornati in Germania mettendo in pratica per davvero il celebre detto “non date il pesce a chi ha bisogno di mangiare, meglio insegnargli a pescare”.
La bottega che trovai era semplicemente fantastica, con quel “disordine ordinato” tipico dei posti dove si lavora con il cuore e l’audacia di chi è talmente entusiasta da non poter neppure perdere tempo per rimettere le cose al loro posto. Rimasi sbalordita: non solo dal luogo strabordante di attrezzi dalle forme più strane e affascinanti (anche per chi, come me, preferisce entrare in una ferramenta piuttosto che in un negozio di scarpe) ma soprattutto per la piacevole atmosfera che vi si respirava. C’erano ragazzi che, di quando in quando, arrivavano per riparare i loro strumenti, maestri che passavano di lì giusto per chiacchierare mentre alcuni suonavano i loro strumenti e altri talvolta li accompagnavano: per spiegare bene a Felipe quale fosse il problema da risolvere, ma anche per il piacere di suonare insieme e farsi sentire dagli altri.
Credo che il momento esatto in cui decisi di chiedere a Felipe se mi avrebbe insegnato a costruire un violino sia arrivato ancora prima che ci pensassi … Era come se avessi sempre voluto, in cuor mio, apprendere quell’arte. Sentivo che era davvero “necessario” farlo in quel momento a tal punto che il pensiero non riuscì neppure ad attraversare la testa ma uscì direttamente, andando dal cuore alla mia bocca.
Felipe gentilmente accettò di “accompagnarmi” in quest’impresa ma non prima di aver chiarito bene che costruire un violino sarebbe stato davvero un lavoro molto, molto arduo: bisognava essere estremamente precisi, meticolosi e pazienti, tanto che i primi giorni non avrei fatto altro che affilare e mettere a punto gli strumenti da utilizzare. Come ogni buon maestro, senz’altro voleva la certezza che fossi seria e motivata e ha anche mantenuto la sua promessa inziale facendomi affilare attrezzi per una settimana, un compito imprescindibile per qualsiasi liutaio che si mette all’opera, ma anche tremendamente noioso. Ciò nonostante superai la prova e così, da quel novembre del 2016, per diciotto lunghi mesi, mi recai in quella bottega. All’inizio vi trascorrevo “solo” un paio d’ore al giorno ma, col passare del tempo e non appena il violino cominciò a prendere forma, le ore quotidiane di lavoro raddoppiarono.
Posso assicurare che si trattò di un lungo e complesso processo di apprendimento di numerosi aspetti tecnici. Se la precisione degli svizzeri e dei tedeschi ha una reputazione difficile da scalfire, posso garantire che quella nicaraguense – a giudicare dal mio maestro Felipe – non è senz’altro da meno. Di tanto in tanto mi mostrava delle foto a grandezza naturale di celebri violini, come il mitico “Cannone del Guarneri”, costruito a Cremona nel 1743 e appartenuto a Paganini, o come il “Messia”, realizzato nel 1716 da Stradivari. Posava le foto sul tavolo per farmi notare qualche particolare in più, e lo faceva con una cura e un’ammirazione per quegli strumenti e per chi li aveva creati tali da far sembrare che stesse mostrando gli strumenti originali.
Ho passato un anno e mezzo in quel laboratorio, costruendo un violino e imparando tantissime tecniche per riuscirci. Molte di queste sono così complesse da non potermele più ricordare a distanza di anni, ma ciò che ho apprezzato più di tutto – e questa lezione senz’altro non la posso scordare – è il valore straordinario di persone eccezionali come Felipe. Persone laboriose, con un grande entusiasmo e con fiero orgoglio per il loro bellissimo Nicaragua che vogliono assolutamente fare progredire, anche con il contributo del loro lavoro. Persone umili, che hanno saputo trarre grandi benefici dalla generosità di chi, con altruismo, energia, lungimiranza e mezzi finanziari è stato in grado di aiutarli concretamente.
Al termine della nostra missione a Managua, sono tornata a casa appagata e felice… Con il mio violino! In onore dei grandi Maestri liutai che hanno fatto storia come Stradivari, Amati o Guarneri, e dei grandi violini da loro realizzati, il mio, terminato nell’aprile 2018, fu battezzato “Piccolo” ed ora è lo strumento che suona mia figlia Noray.
María del Rocío Ferrero López
Nata in Spagna, nella storica città castigliana di Valladolid, con una laurea triennale in psicologia entra nel corpo della Polizia spagnola. In quindici anni di carriera raggiunge il grado di vice ispettore e ricopre l’incarico di capo della sicurezza delle rappresentanze diplomatiche spagnole dapprima a Kiev (Ucraina) e, successivamente, a Rabat (Marocco). A Kiev conosce anche il futuro marito, il diplomatico in carriera Sergio Martes. Con lui e con i due figli, ha abitato anche a Sydney e a Managua, in Nicaragua.