La “Grande zolla” di Albrecht Dürer, 1503
di Maria Giovanna Fadiga Mercuri
The Grass so little has to do/ A Sphere of simple Green / With only Butterflies to brood. / And Bees to entertain /And stir all day to pretty Tunes / The Breezes fetch along / And hold the Sunshine in its lap. /And bow to everything / And thread the Dews, all night, like Pearls/ And make itself so fine/ A Duchess were too common /For such a noticing –
And even when it dies – to pass /In Odors so divine / Like Lowly spices, lain to sleep/Or Spikenards, perishing / And then, in Sovereign Barns to dwell /And dream the Days away, /The Grass so little has to do/I wish I were a Hay –
(by Emily Dickinson)
“L’erba non ha quasi niente da fare”: io amo molto questa poesia di Emily Dickinson e spesso mi sono chiesta il perché … in fondo non è che un elenco di azioni leggere e poetiche. L’erba è ritratta come una creatura semplice, quasi insignificante. Passa il tempo magicamente e si intrattiene con esseri fatui come lei (farfalle, api); si inchina continuamente, ascolta musichette, si adorna di rugiada e così via. Azioni leggere e poetiche e …. quasi inutili.
Perché, allora? Che cosa mi affascina? Cosa c’entra con me? Improvvisamente ho avuto una rivelazione ed ho capito: è una grandiosa metafora della nostra vita consortile: anche noi non abbiamo quasi niente da fare. Quante volte ce lo siamo sentite ripetere: beata te che viaggi continuamente! Anche noi, come l’erba ci occupiamo di cose futili e viviamo in una dimensione mondana; come l’erba inchiniamo a tutto, ci adorniamo con gioielli come duchesse e così via. La percezione della nostra esistenza è quanto mai falsata dalle immagini letterarie e da rotocalco che ancora la circondano, ma spesso le colpevoli siamo proprio noi. Noi per prime non rimarchiamo con sufficiente convinzione la nostra collocazione. Ma suvvia, che cosa sarà mai in fondo cercare una casa ogni tre anni o giù di lì, caricarsi tutto sulle spalle e nel cuore, imparare una lingua, trovare le scuole, scoprire la vita quotidiana, abbandonare un’occupazione o continuarla in maniera diversa, reinventarsi, sostenere il coniuge nelle attività lavorative parallele, seguire il ménage familiare, e così via?
Solo noi – come l’erba – sappiamo qual è la verità e questa deve essere la nostra forza e non il nostro segreto. Noi siamo molto importanti. Le capacità che sviluppiamo sono davvero peculiari, tanto da costituire esse stesse un mestiere in tutto e per tutto, il cui riconoscimento reale potrebbe risolvere l’annosa questione della nostra configurazione professionale. Chiarito questo, non nego che ci possano essere varie alternative ma, se non altro, avremmo a prescindere e per diversi gradi una responsabilità riconosciuta ed aggiungo apprezzata e gratificante. Soprattutto negli anni della maturità, quando un percorso professionale diventa sempre più complesso, ci troveremmo titolari di un mestiere acquisito sul campo, cementato dalle esperienze singolari e comuni. Invece di perseguire la strada del non-essere penso sarebbe meglio riformattare il nostro ruolo in chiave 4.0 e costruire delle proposte reali su di una professionalità unica che questa vita errante ci cuce addosso e che condividiamo a livello mondiale con tutte le famiglie dei diplomatici.
Certo, tornando al soggetto della nostra lirica e sperando di non condividerne la sorte finale (una cosa morta nei granai che sogna i giorni fuggiti), in fondo – e me ne rendo ben conto -, non ho nessun bisogno di desiderarlo (I wish I were a Hay): io lo so già, io sono – e fieramente- come l’erba.
Maria Giovanna Fadiga Mercuri
Umanista e filologa, ha sempre cercato di svolgere attività di studio e di ricerca nel settore di formazione nelle diverse sedi, fra la Corea del Sud e del Nord, il Regno Unito, la Germania, il Belgio e gli Stati Uniti. Attualmente a Roma, insegna Paleografia e Diplomatica (attenzione: niente a che vedere con la diplomazia!) presso la Scuola di Alta Formazione dell’Istituto Universitario di Patologia del Libro. Ex membro del Consiglio Direttivo uscente, ama scrivere.
Bellissimi versi! Profondissima meditazione, quanto mai vera! Grazie Maria Giovanna
Grazie Maria Giovanna per questa bellissima poesia e per la tua riflessione. Noi siamo quei fili di erba ma tutte insieme coltiviamo quel prato verde luminoso che accoglie farfalle api e fiorisce di stagione in stagione sempre rinnovato cosi cone le tanti consorti ieri oggi e domani faranno accogliendo facendo conoscere il nostro paese la nostra cultura e stile di vita senza piegarsi alle difficoltà quotidiane perchè anche senza un titolo ed apparentemente anonime , sono l’Italia.
Belle e giustissime osservazioni. Grazie!
Di Emily Dickinson amo molto anche un’altra poesia. Anzi due: quella che descrive l’eternità come una successione di mari e di oceani, di cui l’uno è la riva dell’altro, e “I haven’t told my garden yet” in cui si congeda dal suo giardino e dalla vita.
Magari ti possono ispirare per una prossima conversazione?
Grazie dell’apprezzamento. Sono felice di sapere che non sono pensieri solitari ma condivisi… E domani, con la conferenza su Dante, ho altre poesie a sorpresa da raccontare!