di Lucia Costantini
Willis from Tunis é il personaggio di un cartoon satirico, un micio simpatico e irriverente che da 10 anni ci racconta con humor raffinato e tenero la Tunisia post rivoluzione. Willis ci parla di politica ed economia, di donne e Islam, di corruzione e patriottismo con il linguaggio della satira. Dietro al personaggio di Willis c’è una donna, la disegnatrice Nadia Khiari, che nei giorni della rivoluzione dei gelsomini ha deciso di avere delle cose da dire e di volerle esprimere nel modo che le era più congeniale, assaporando il gusto della libertà ritrovata.
Nadia è una donna di Tunisia, come Meriem e Maissa che sono all’origine del progetto di moda sostenibile Moodha Okkra , come le giornaliste investigative del sito Inkyfada o la attivista Lina ben Mhenni che con il suo blog A Tunisian girl non cessa dai giorni della rivoluzione di parlare di diritti umani e di uguaglianza di genere. Ma anche come Sonia che nel quartiere povero di Bhar Lazreg fa un mestiere da uomini, dirigendo un’azienda per la lavorazione del marmo, o Souad che nella stessa zona fa la tassista. I loro volti e le loro storie raccontano un paese che ha nelle donne la sua spina dorsale ma che ancora è in bilico tra tradizione e modernità, dove leggi avanzate in tema di parità di genere e protezione delle donne convivono con mentalità arcaiche e le strutture politiche e economiche perpetuano vecchi ruoli e ineguaglianze.
Secondo molti analisti le donne sono state uno dei fattori determinanti della cosiddetta rivoluzione dei gelsomini, un elemento distintivo rispetto alle altre primavere arabe. Le donne che sono scese in piazza in Tunisia nell’inverno del 2011 godevano infatti probabilmente dello status più avanzato del mondo arabo. Il Codice dello Statuto Personale promulgato da Bourghiba nel 1956, agli albori dell’indipendenza, aboliva la poligamia, introduceva il consenso e un’età minima per il matrimonio, stabiliva procedure legali per il divorzio mettendo fine alla pratica della ripudio, equiparava donne e uomini rispetto alla cittadinanza e all’interno della famiglia. Nel 1957 sono garantiti alle donne il diritto di voto e l’eleggibilità e già negli anni 60 le donne tunisine hanno accesso alla contraccezione, mentre l’aborto, consentito solo in alcuni casi nel 1965, diviene completamente legale nel 1973. Le donne inoltre sono state le maggiori beneficiarie della riforma del sistema educativo messa in atto negli anni di Bourghiba, con il risultato che la Tunisia ha avuto nel tempo tassi di alfabetizzazione femminili sconosciuti nella maggioranza degli altri paesi arabi e del Maghreb. Il regime autoritario del presidente Ben Ali ha continuato sulla scia “modernista” del suo predecessore con alcuni emendamenti in senso progressivo al codice nel 1993 fino all’istituzione di quote femminili nel parlamento dove nel 2010, alla vigilia della rivolta, le donne rappresentavano il 28% dei deputati .
Non si possono negare i meriti di questo riformismo, e la generazione di donne che nel 2011 ha partecipato attivamente ai sommovimenti sociali e alla transizione democratica e che oggi ritroviamo a tutti i livelli della vita pubblica e del mondo economico è anche il prodotto di tali riforme. Ciononostante il cosiddetto “femminismo di stato” dell’era Ben Ali è da molti considerato come un’operazione puramente propagandistica e questo approccio “dall’alto” ha a lungo soffocato le istanze critiche e il dissenso, oltre ad aver marginalizzato e costretto al silenzio le donne delle zone rurali povere, legate alla tradizione islamica.
Con il passaggio alla democrazia i termini della questione cambiano. All’indomani della rivoluzione si assiste al proliferare dell’attivismo femminile, le donne islamiche entrano prepotentemente sulla scena, grazie al successo del partito di orientamento islamico Ennahda che con la sua organizzazione capillare è in grado di mobilitare le campagne. La dicotomia modernità/tradizione divide il mondo femminile, con le élites urbane e secolari spaventate dai successi del partito islamico e timorose dell’affermarsi di forze oscurantiste con una conseguente regressione nei diritti delle donne e le classi conservatrici rurali sospettose del femminismo che associano con la dittatura e la repressione delle loro istanze. I primi passi del nuovo ordine sono però meritori, la nuova Alta Autorità, cui è affidato il compito di stabilire le regole per l’elezione, nell’ottobre del 2011, dell’Assemblea Costituente, decide che le liste elettorali dovranno attenersi alla regola della cosiddetta “parità verticale”, contenere quindi il 50% di candidati donne, in ordine alternato. Così il grande successo di Ennahda a queste prime elezioni dell’era democratica in Tunisia, con la conquista di 89 seggi su 217, si traduce anche in un numero elevato di candidate di Ennahda elette alla costituente, 42 su un totale di 67 donne.
Dopo un percorso travagliato, nel gennaio del 2014, l’assemblea adotta una carta costituzionale che può essere considerata la più progressiva del mondo arabo e il contributo delle donne, sia per quanto riguarda i lavori parlamentari che a livello di società civile è stato imprescindibile. Particolarmente importante è stata la sinergia tra il lavoro delle rappresentanti all’assemblea, che non costituivano un blocco monolitico ma hanno saputo fare “gioco di squadra” nelle questioni relative alla parità dei diritti, e il mondo dell’attivismo femminile. Pensiamo alla mobilitazione di piazza quando in una prima bozza di articolo si è usata l’ambigua formulazione di “complementarietà” per definire il ruolo della donna, o al lavoro dell’organizzazione Al Bawsala di Amira Yahyaoui per assicurare la trasparenza e l’informazione sui lavori parlamentari.
Questo quadro legale non basta però a definire la situazione attuale delle donne in Tunisia. Gli ultimi anni sono stati turbolenti, il travagliato passaggio alla democrazia è stato caratterizzato da una crisi politica permanente cui si sono aggiunte una devastante crisi economica e la pandemia. Le donne restano un anello debole della società, le prime a subire le conseguenze delle crisi, le prime a uscire dal mercato del lavoro, ad essere vittime di violenza. Secondo il Global Gender Gap report 2020, la Tunisia è scivolata tra il 2006 e il 2020 dal 90esimo al 124esimo posto in tema di parità di genere. Molti cantieri restano aperti e l’implementazione dei principi di uguaglianza stabiliti dalla costituzione e recepiti nei vari testi legislativi va a rilento. Nel 2017 è stata adottata una legge ambiziosa tesa a facilitare le procedure giudiziarie nei casi di violenza sulle donne e tra il 2018 e il 2020 sono state depositate più di 30.000 denunce. Sul campo, però, la legge resta di difficile applicazione per la mancanza di misure di accompagnamento e di infrastrutture adeguate. E poi la grande riforma incompiuta, quella della legge di successione che, in Tunisia come nella maggioranza dei paesi musulmani, ancora penalizza le donne, che hanno diritto soltanto alla metà della parte di eredità rispetto agli eredi maschi dello stesso grado. Un progetto di legge teso a ristabilire l’uguaglianza in questo campo era stato lanciato alla fine del 2018 ma rimane ancora nel limbo delle commissioni parlamentari. Il tema resta tabù e il clima politico non sembra maturo. Le donne Tunisine devono ancora combattere e vincere la battaglia delle mentalità.
Lucia Costantini
Napoletana e cittadina del mondo, collezionista compulsiva, ha studiato Scienze Politiche e lavorato come corrispondente estera per giornali e riviste italiani. Diplo-spouse ormai da 30 anni ad ogni nuova sede si inventa una nuova vita. Adora la comunicazione e la politica e…..i mercatini dell’antiquariato! Ma la sua più antica passione è la Nutella