di Veronika Hager von Strobele Quaroni
Una specie notoriamente rara: così mi viene presentato Driton Sopa, il consorte dell’Ambasciatore del Kosovo in Italia, Alma Lama. Alto, magro con gli occhiali sottili ed un’espressione serena, chiacchiera un po’ in disparte durante l’ultimo caffè dell’Associazione a Villa Madama con l’unico altro “collega” uomo, marito di una diplomatica canadese. Un’occasione unica per me per conoscere le esperienze, impressioni e sfide di un consorte “maschio”. Anche Driton lotta su due fronti: quello domestico e quello professionale, cercando di portare avanti l’attività avviata in Kosovo. Ma forse rispetto a noi consorti “donne” è più timido nell’esprimere le sue difficoltà e preoccupazioni. Scambiamo i nostri rispettivi recapiti e ci incontriamo in tarda mattinata – il momento prediletto per chi non “lavora”- di una frizzante giornata romana, negli uffici della rappresentanza del Kosovo, nel quartiere Trieste. L’atmosfera è leggermente “ufficiale”, visto che ci affianca una giovane e molto abile interprete. Non che lui non parli l’italiano dopo 11 mesi di permanenza a Roma, ma vuole essere preciso nelle sue affermazioni in una lingua acquisita da poco. Tutta la sua famiglia si è tuffata entusiasticamente in questa avventura romana. I due figli grandi della coppia, di 16 e 12 anni, si sono pienamente inseriti nelle scuole pubbliche del quartiere e il più giovane membro della famiglia, una bimba di poco più di due anni, frequenta un asilo nido di zona. “Specialmente per i due grandi è un notevole successo, considerando che meno di un anno fa non parlavano una parola di italiano”, mi spiega Driton.
“Noi a Pristina avevamo un’ottima vita, mia moglie era deputata in Parlamento dal 2011 ed io, come medico, gestivo due strutture per analisi cliniche, una pubblica ed una mia privata. Tutto andava bene. Spostarci a Roma in prima missione è stata per tutti noi una vera sfida. Qui adesso per me è impegnativo stare dietro alla nostra piccola, specialmente quando mia moglie, come in questi giorni, non c’é perché in missione.”
Trapiantato in Italia nel novembre del 2016, Driton mi racconta come passa il suo tempo “riscontrando anche più difficoltà delle consorti donne che come me non vogliono vivere all’ombra del coniuge diplomatico”. Trascorre una settimana al mese nella capitale kosovara Pristina, per portare avanti la sua attività, e le altre tre settimane a Roma dove la priorità è la famiglia. Trovare un equilibrio non è facilissimo. Sorride maliziosamente quando mi rivela che cercando di dare un senso alle sue, a volte anche troppo lunghe giornate romane, ha scoperto di avere un certo talento per i lavori domestici…
Driton ci tiene a chiarire la sua situazione: “Io qui non svolgo nessun incarico ufficiale, per cui sono totalmente libero. Manca però un accordo ufficiale tra i nostri due Paesi affinché io possa svolgere ufficialmente un’attività professionale in Italia. Diritti alla pensione, mentre in missione con mia moglie, ovviamente non ne ho.”
Non ha la pretesa di trovare un lavoro in Italia e di percepire uno stipendio, mi spiega Driton. Sarebbe invece molto interessato a scambiare esperienze con operatori italiani nel suo campo, quello delle analisi cliniche. Nonostante numerosi tentativi, i contatti con esperti italiani sono stati però pochissimi…
“Ho a malapena avuto cinque incontri con interlocutori italiani. Non è soddisfacente. La mia difficoltà qui è di trovare le entrature all’università o nelle aziende private. Certo, sarebbe auspicabile che ci fosse la possibilità per me come consorte di avere una lettera formale di sostegno da parte dell’Associazione o da qualsiasi dipartimento del Ministero degli Esteri italiano. Io qui vorrei imparare dai professionisti del mio settore, ma non vorrei dovermi presentare come turista…”
Passiamo dalle sue difficoltà professionali alla vita di tutti i giorni nella residenza non lontano dagli uffici dell’Ambasciata in Via Tolmino, una parallela di Via Nomentana. Curiosa come sempre di scoprire cosa pensi uno straniero, residente da poco, dei famigerati problemi romani Driton mi dà una risposta benevolmente diplomatica. Anche stuzzicato da me su temi caldi come il degrado urbano, il traffico o l’immigrazione, Driton non si scompone minimamente…
“Dieci mesi sono troppo pochi per pretendere di capire o di interpretare i problemi locali, vedo però che la gloria della storia romana come la posso ammirare nel Colosseo per esempio, di cui ho letto molto sui libri, è reale. Non bisogna lamentarsi della scarsa manutenzione di questa bellissima città, dei suoi monumenti e i suoi spazi verdi, perché comunque esistono. Sono fondamentalmente problemi piccoli. In più la gente qui mi sembra molto flessibile e gentile. Ad un incrocio gli automobilisti danno la precedenza anche quando non la dovrebbero dare, un segno di grande tolleranza e civiltà. Qui mi sento molto a mio agio.”
Da Roma spostiamo l’attenzione a Pristina. Conosco quasi niente sulla realtà odierna in Kosovo. Indirettamente, avevo seguito l’iter tortuoso verso la sua indipendenza nel 2008 attraverso l’esperienza professionale di mio marito durante gli anni presso la nostra Rappresentanza Permanente presso le Nazioni Unite a New York. (Le mie osservazioni allora si limitavano alla vita quotidiana nella grande metropoli con tre bambini piccolissimi…) Cosa possiamo imparare oggi noi italiani dai Kosovari? Driton non ci riflette a lungo…
“La nostra forza è l’orgoglio e la solidarietà all’interno della famiglia anche se questa sta pian piano scomparendo con la modernizzazione e la globalizzazione della vita.”
Si sofferma poi sul problema dell’immigrazione nel nostro paese. Secondo lui a Roma a parte l’invasione di venditori ambulanti il problema è tutto sommato gestibile, bisogna solo lavorarci. I Kosovari immigrati in Italia, mi informa Driton, sono circa 35.000 di cui la maggioranza ha mantenuto anche la cittadinanza kosovara, visto che le leggi del Kosovo lo permettono. “Peccato che la migrazione sia spesso unidirezionale. La nostra genta si trasferisce all’estero e in pochi tornano indietro perché si integranno troppo bene. Ma rimane il fatto che l’emigrazione è sempre un segno di debolezza del paese d’origine.”
Veronika Hager von Strobele Quaroni
Giornalista per formazione e appassionata viaggiatrice da 30 anni, moglie di un diplomatico italiano e madre di tre figli in età adolescenziale, Veronika Hager von Strobele ha vissuto in Austria, negli Stati Uniti, in Russia e in Belgio. Ha collaborato come giornalista freelance per il quotidiano dell’Alto Adige “Dolomiten”, per la “Moskauer Deutsche Zeitung” a Mosca e per “Europa”, pubblicazione mensile della Commissione dell’Unione Europea in Russia.