di Eugenia Gresta
Mi sono trasferita a Belgrado recentemente, ma è una città che già avevo visitato nel 2006 e mi aveva lasciato addosso una bella sensazione di familiarità, di già conosciuto. Forse perché con quel suo miscuglio urbano di lontano passato e più recente architettura socialista mi sembrava una piccola Mosca, città nella quale ho vissuto a lungo e che ho molto amato. A differenza di Mosca però, dove ci sono delle autentiche meraviglie da scoprire, Belgrado, come dice la scrittrice Marina Lalović, “è l’ultimo posto in Europa che ancora mantiene la propria autenticità senza sforzarsi di venderla e renderla attraente ai turisti”. Lalović non ha torto.
A Stari grad, nel cuore della città, torreggia Kalemegdan, fortezza del XIII secolo che domina con le sue due torri la suggestiva confluenza fra Sava e Danubio. Poco lontano, superata Kneza Mihaila, la strada pedonale dello shopping, si arriva a piazza della Repubblica, sulla quale si affacciano il Museo Nazionale di Serbia e il Teatro Nazionale, centro nevralgico della cultura serba. Più avanti, costeggiando il Museo, si raggiunge la Cineteca jugoslava, fondata da Tito nel 1949 e interamente ristrutturata nel 2011. Contiene un considerevole archivio cinematografico, imprescindibile per i cinefili. All’ingresso una statua di Karl Malden, che per andare a scuola nella nativa Chicago dovette imparare l’inglese, perché fino a cinque anni parlava solo serbo. Per entrare nello star system americano, dovette seguire il consiglio di Elia Kazan e cambiare il suo nome, Mladlen Sekulović, in una combinazione più orecchiabile.
Da piazza della Repubblica, attraversando il quartiere Terazije con lo storico albergo Moskva, un po’ tabaccoso ma con una buona sala da tè, si raggiunge, passando per la grande arteria Kralja Milana, piazza Slavija, a Vračar. Nel cuore circolare di questo spazio è aperta dal 2017 una fontana musicale, che cambia i giochi d’acqua al variare della musica. Un nuovo simbolo della città. Dietro la piazza si scorge la Cattedrale di San Sava, la più grande dei Balcani, punto di riferimento dell’ortodossia serba. Un edificio monumentale, ristrutturato nei primi anni Duemila, che sembra una maldestra imitazione di Santa Sofia a Istanbul, condita con una buona dose di kitsch balcanico.
A conclusione di questo minitour della città, indicherei altri due luoghi meritevoli di una visita: il Museo della Jugoslavia con il Mausoleo di Tito e il Waterfront. Costruito sul lungofiume della Sava, il Waterfront è stato aperto nell’ottobre del 2020 e ospita diversi bar e ristoranti, dai quali si gode una bellissima vista su Novi Beograd, sulla sponda opposta. Un posto ideale per un caffè, un pranzo, un aperitivo al tramonto o una passeggiata, anche in bicicletta.
In una giornata si fa tutto e ciò che vediamo non lascia impressioni indelebili. Poco importa però se i turisti rimangono delusi. Belgrado non è nell’architettura urbana o nei monumenti. Belgrado è nell’humus cittadino: un luogo pieno di energia, un’energia giovane e possente, che ti strega. Un milione e mezzo di persone che intasano le strade della città al mattino per andare a lavorare, ma che poi, goderecce, popolano incessantemente i caffè e i ristoranti, per tutti i gusti, di cui la città trabocca.
Il ritmo di Belgrado è veloce: c’è un’ampia scelta di cose da fare. Si può optare per il pirotecnico Museo di arte contemporanea a Novi Beograd, che ospita al momento una mostra del nostro Michelangelo Pistoletto; ci si può ritrovare alla DOTS di Ljuba Jovanović, gallerista sempre attenta alle tendenze dell’arte contemporanea, un’entusiasta talent scout di giovani artisti serbi e nordeuropei. Il celebre scultore Mrđan Bajć fa visitare il suo atelier e ci conduce con il suo stile, impositivo e aggraziato ad un tempo, in un mondo che è una sintesi balcanico-occidentale dal sapore decisamente innovativo. Anche i gomitoli dello scultore Goran Čpajak, al momento in mostra a Milano, e la matericità colorata delle opere di suo figlio Milija, “italiano” nato a Pietrasanta, ci danno un’indicazione della vivacità dell’universo delle arti visive di Belgrado. E la scultura è a suo modo una trasformazione dell’artigianato locale, perla dell’arte popolare serba. In pieno centro, nascosto dal degrado dei palazzi di epoca titina, si trova il Belgrade Design District, uno spazio magico, nel quale i negozi di design contemporaneo fanno il paio con quelli della lavorazione artigianale dei tessuti e delle pelli. In un angolo una rivendita di gioielli ci delizia con le creazioni ultramoderne della talentuosa Svetlana Vukov. E in un paese poco ecoattento, il negozio di Kedrova Prića vende solo ottimi prodotti di cosmesi naturale.
Nonostante la Serbia non vanti una tradizione musicale forte, la municipalità belgradese organizza, in collaborazione con alcune istituzioni europee, manifestazioni con importanti ospiti. Si può ascoltare il violoncello di Miša Maisky alla sala da concerto Kolarac o optare per l’opera al Festival “Opera sull’acqua”: il palco è sistemato sul lungofiume e gli spettacoli in serata sono molto piacevoli. Anche la stagione teatrale è ricca. Il Belgrade International Theater Festival offre annualmente un intenso programma internazionale, che si inserisce nel repertorio del Teatro Nazionale e del Teatro Drammatico Jugoslavo, nei quali si alternano pièce serbe ed europee (Dostoevskij docet) a spettacoli di danza classica e contemporanea. La coreografa Aja Jung, magnetica animatrice del Belgrade Dance Festival, diletta il suo pubblico con compagnie e coreografi da tutto il mondo: Phillipe Kratz e il Balletto di Toscana hanno ammaliato la città lo scorso marzo con il loro “Scarpette rosse”, rivisitazione della fiaba di Andersen.
I serbi sentono noi italiani molto vicini e da alcuni anni accolgono con calore Il Belgrade International Film Festival che propone diverse nostre pellicole, nonché il Festival del cinema italo-serbo diretto da Gabriella Carlucci. Il cinema italiano condivide la sua solidissima tradizione con la moda, il cibo e le automobili. Nel 1939 Tazio Nuvolari vinse l’ultimo Grand Prix corso a Belgrado. Poi ci fu la guerra e l’evento cadde nel dimenticatoio. Lo scorso anno, grazie agli sforzi congiunti dell’Ambasciata italiana e dell’instancabile Giorgio Andrian, fanatico di auto d’epoca, all’inizio di settembre si è svolta una corsa automobilistica intorno a Kalemegdan, che ha riscosso un grande successo. Quest’anno si ripeterà. Aspetto impaziente il mio giro sulla Bugatti T37 del 1926 di Domenico Battagliola: un gioiello!
Eugenia Gresta
Laureata in Lingue e Letteratura Russa a “La Sapienza” di Roma, ha conseguito un Ph.D. in Slavistica alla Univerisity of Michigan (Usa). Ha vissuto e lavorato a Mosca, Bruxelles e Washington D.C. dove ha insegnato Lingua e Letteratura Russa alla GWU, per poi proseguire all’Istituto di Alti Studi Carlo Bo di Roma. Al momento insegna letteratura russa presso l’Istituto di Cultura e Lingua Russa di Roma. Al suo attivo ha due libri: “Il Poeta e la Follia” sulla poesia russa contemporanea e “Il russo per i più coraggiosi”, manuale per gli studenti pubblicato con Svetlana Zueva. È autrice di saggi, articoli e recensioni apparsi su varie testate, italiane ed estere. Vive a Belgrado.