di Susanna Bonini Verola
“Andiedi di buon’ora a disegnare a Monte Cavallo (ndr: l’odierno Quirinale), quando poi il sole diede nelle statue ritornai a casa”.
Parole del Canova sapientemente riportate su una parete di Palazzo Braschi. Si ritiene, giustamente, che non vi fu città che più di Roma influì sull’opera del maestro indiscusso del Neoclassicismo italiano. E non vi fu scultore del tempo che meglio ripagò la bellezza monumentale della Capitale. La frase del Canova è tra quelle che, non a caso, introducono la mostra-evento del calendario espositivo capitolino: “Canova. Eterna bellezza”, a Palazzo Braschi fino al 15 marzo. Un percorso espositivo complesso ma di grande impatto visivo che – come ha voluto il curatore, Giuseppe Pavanello – fa luce su quel doppio filo che lega indissolubilmente lo scultore alla Città Eterna, per lui fonte inesauribile di apprendimento e d’ispirazione. La Roma del ‘700 – ‘800 non sarebbe stata la stessa senza Canova e Canova, nato nel trevigiano e formatosi a Venezia, non sarebbe diventato il maestro che tutti conosciamo senza Roma: “impossibili immaginare uno scisso dall’altra”, ha infatti sottolineato la sovrintendenza capitolina ai beni culturali presentando l’allestimento.
Ho avuto la chance di visitare la mostra all’indomani della sua inaugurazione: un evento acclamato che, ovviamente, ha richiamato il pubblico delle grandi occasioni e riempito anche le pagine delle testate nazionali. E allora mi sono incamminata verso piazza Navona con grandi aspettative mitigate, mio malgrado, dalla convinzione che anche questa volta sarebbero state in parte deluse. Vuoi dalla ressa opprimente che probabilmente avrei trovato in sala, vuoi da un concept troppo tradizionale e marcatamente didascalico della mostra, il tipico allestimento italiano che invece di avvicinare il pubblico all’opera, riesce incredibilmente ad allontanarlo.
Vorrei immediatamente sgombrare il campo dal dubbio: questa mostra non può lasciare indifferente il visitatore che vorrà farsi trasportare in quella ricerca del canone estetico classico e della perfezione che è il tratto marcante del tempo e dell’opera del Canova. Da una sala all’altra di Palazzo Braschi, piccolo gioiello dell’architettura barocca-neoclassica, si viene dolcemente trasportati in un flusso continuo di opere (terrecotte, gessi, marmi, disegni e acquarelli) dove tutto – dal sottofondo musicale all’utilizzo della luce e degli specchi, dalle installazioni mobili alle tappezzerie scure e minimaliste – contribuisce a rafforzare la coerenza dell’allestimento, restituendo un’atmosfera che si sposa perfettamente con le opere esposte. Ne risulta una mostra che, senza mai annoiare, esalta il genio del Maestro e il lavoro ben organizzato e raffinato della sua bottega. Si capisce finalmente quanto la Grande Bellezza abbia influito su quel “tocco finale” che il Canova dava personalmente all’opera anche utilizzando cera rosa per “umanizzare il divino”, dopo aver a lungo studiato e ridisegnato i maggiori complessi marmorei dell’antichità. Non per copiarli, ma per catturarne la bellezza classica e renderla immortale reinterpretandola con la propria sensibilità.
Magnifico l’allestimento della “Maddalena penitente in marmo”, a Roma grazie all’importante prestito dell’Ermitage di San Pietroburgo, ricollocata su piedistallo, con uno specchio alle spalle, come quando si trovava a Palazzo Doria-Tursi. Una statua che esprime quell’ideale classico di bellezza che il Canova rende incredibilmente contemporaneo giocando sull’ambiguità tra sacro e profano. Un esempio perfetto della sua impareggiabile maestria nel riportare alla realtà il personaggio divinizzato che, in questo caso, volutamente, diventa sensuale ma senza mai disturbare.
Molto suggestiva anche la sala dei gessi di “Creugante e Damosseno” che i visitatori potranno ammirare a luce di candela, in un ambiente lasciato volutamente nell’oscurità, come suggeriva al tempo il Maestro, perché solo avvicinando una candela all’opera si possono apprezzare le scanalature del marmo e i punti anatomici focali.
L’installazione mobile, che gira lentamente su se stessa, al centro di una sala coperta di specchi, in penombra, esalta mirabilmente la “Danzatrice con mano sui fianchi”: un capolavoro assoluto per la leggerezza ottenuta col marmo che qui esprime perfettamente la sinuosità delle forme e il movimento lieve del passo di danza. La scultura si muove, illuminata a tratti da una luce che rende le vesti così sottili da diventare quasi trasparenti. Non c’è più marmo, ma carne. Ed è l’Eterna Bellezza: il Canova ha vinto la sua sfida!
Mentre osservo allibita quella danza mi rendo conto di trovarmi nell’ambiente ideale per apprezzare a pieno una mostra di questo tipo. Forse per merito delle accorte organizzatrici della visita – le amiche Elena Giovanelli e Silvia Di Via dell’Associazione Petites Promenades – ho potuto attraversare le silenziose sale di Palazzo Braschi in compagnia di poche amiche e di una bravissima guida. Niente spintoni ne’ iperboliche attese in mezza punta per poter intravvedere brandelli di statue. Evidentemente il clamore dell’evento non ha ancora raggiunto il grande pubblico….Ed è bene approfittarne subito!
Susanna Bonini Verola
Ha vissuto a Parigi, dove ha terminato gli studi in Scienze Politiche, Bruxelles e Washington. Giornalista professionista e TV Producer, ha lavorato nelle trasmissioni di approfondimento di RaiNews24-Rai 3 e per i notiziari TV di Euronews (Lione). Dopo varie collaborazioni con radio e magazine, approda ad Adnkronos con cui collabora per oltre 10 anni. Rientrata a Roma, ha ripreso a collaborare con Euronews ed è coordinatrice di questo Notiziario.