di Anna Sanfelice Visconti
Una ciocca lunga e sottile, arrotolata in fondo a formare un cerchio. Biondissima, con una vaga sfumatura rossiccia, tra due cristalli rifiniti da un bordo prezioso in oro e piccole pietre, con un toro e un’aquila a chiudere i pendagli alle due estremità. Toro ed aquila. Borgia ed Este. I capelli di Lucrezia.
Si trovano presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano almeno dal 1685, e sarebbero la testimonianza dell’amore platonico tra la duchessa di Ferrara e Pietro Bembo. Lui, incarnazione del ricchissimo ambiente culturale cinquecentesco, amico dei maggiori letterati e pensatori di un Rinascimento tormentato da guerre continue; lei, pedina politica nelle mani del padre e del fratello, e vittima di una tradizione che le attribuirà i peggiori delitti.
Il Bembo incontra Lucrezia durante il suo secondo viaggio a Ferrara, arrivando il 15 ottobre 1502 attraverso la laguna di Comacchio, in una barca carica di testi greci e latini, per partire definitivamente nel 1505. Platone e Aristotele sono i suoi fari, e Petrarca la sua guida nella poesia. C’era all’epoca una tacita gara, tra la corte di Ferrara e quella di Mantova, a circondarsi di artisti e letterati di fama; Ferrara si era assicurata la presenza, tra gli altri, non solo del Bembo ma anche dell’Ariosto.
Di Lucrezia tutti i contemporanei descrivono ammirati, oltre alla bellezza, la grazia, la dignità, la capacità di pronunciare discorsi nelle circostanze ufficiali. Aveva ricevuto, del resto, un’istruzione che comprendeva il latino, lo spagnolo, il francese, l’italiano, oltre alla musica e alla danza. Viene data giovanissima in sposa al signore di Pesaro Giovanni Sforza, di cui i Borgia volevano assicurarsi l’appoggio; ma quando decidono di aderire al partito spagnolo Lucrezia viene costretta a subire lo scioglimento del matrimonio per impotenza, e a sposare Alfonso d’Aragona, di cui, pare, ha l’imprudenza di innamorarsi. A seguito di un ennesimo voltafaccia politico dei suoi Alfonso verrà ucciso dai sicari del fratello Cesare.
Si rifugia a Nepi e firma le sue lettere “la più infelice delle donne”. Alle nuove proposte di matrimonio risponde di non volersi sposare perché “i miei mariti sono malcapitati”. Ma alla fine acconsentirà alle nozze con Alfonso d’Este, signore di Ferrara.
Lucrezia sembra trovare finalmente un po’ di serenità nel piccolo stato, acquista popolarità per la sua bellezza e grazia, e per la devozione che mostra nel visitare e sostenere chiese e conventi.
Il marito, spesso in viaggio per perfezionare le sue conoscenze di geografia e politica militare, lascia regolarmente il governo nelle sue mani. Figli non ne vengono subito, anzi due inizi di maternità non si concludono felicemente. Più tardi altri, numerosi, assicureranno la discendenza.
Ma intanto ad Ostellato, ospite di Tito Vespasiano ed Ercole Strozzi, era arrivato il Bembo.
Le presentazioni saranno state fatte da Ercole, latinista insigne, ben conosciuto dalla duchessa. Lui trentaduenne, e a dire di tutti, di bell’aspetto; lei nello splendore delle sue ventitré primavere. Nasce un’attrazione, espressa attraverso le citazioni letterarie care ad entrambi. Lei trascrive per lui i versi di Lopez de Estuñiga, “Penso che se morissi/ e coi miei mali finisse il desiderio/ Finirebbe un amore così grande/ che tutto il mondo resterebbe senza amore/ Ma considerando/ che tardo a morire /è ora un così gran bene/che devo, usando la ragione/ esaltarmi nel fuoco/che mi fa soffrire”. Lui risponde: “Così vivo è il mio soffrire/ e così morta la mia speranza/ che nessuno può prendere l’uno/né desiderare l’altra”.
Il loro sentimento si nasconde dietro il velo delle allegorie letterarie, ed è di grande conforto a Lucrezia alla morte del padre. Il Bembo le dedica un’ode, elogiando la sua abilità nel comporre versi, nella musica e nella danza, pressappoco in questi termini: “… oh come temo che un dio, vedendoti per caso, ti rapisca dal tuo castello e lievemente ti innalzi in volo per il cielo, facendo di te, o sublime, la dea di un nuovo astro!” E a Lucrezia dedicherà gli amorosi versi latini dei suoi Asolani.
Ai primi di aprile del 1505 Pietro Bembo viene richiamato a Venezia. È l’addio. Da quel momento in poi le lettere e i biglietti che si scambiano non esprimono altro che amicizia e cortesia formali. Chissà se Lucrezia gli avrà donato la ciocca dei suoi capelli, biondi e luminosi a distanza di secoli, al momento del congedo ….
Il Bembo da Venezia andrà a Roma, come influentissimo segretario di Leone X, poi cardinale, e accrescerà la sua già eccelsa fama di letterato e uomo di cultura. Vivrà fino al 1547, ai suoi settantasette anni. Lucrezia morirà nel 1519 per le conseguenze di un ennesimo parto, alla soglia dei quaranta. Di lei non abbiamo nessun ritratto certo; forse il più probabile si trova, di mano del Pinturicchio, nell’affresco della Disputa di S. Caterina all’interno degli appartamenti Borgia in Vaticano; bionda, occhi azzurri, ingioiellata e vestita con sfarzo. Lei che era stata sepolta nel monastero di clausura del Corpus Domini, con l’abito da terziaria francescana.
Racconto tratto da “Il Giardino Segreto”, rubrica settimanale di Anna Sanfelice Visconti
Pubblicato sulla pagina Facebook della Cappellania Universitaria della Gregoriana
Anna Sanfelice Visconti
Napoletana, laureata in Giurisprudenza e Scienze Politiche all’Università di Roma la Sapienza, ha esercitato la professione di avvocato tra un trasferimento e l’altro del consorte Leonardo Visconti di Modrone. Ha all’attivo diverse pubblicazioni, frutto di ricerche sulle carte di famiglia, sulle consorti che hanno vissuto le turbolenze del Vicino e Medio Oriente, e sui propri ricordi di vita al seguito del marito. Tiene una rubrica settimanale sulla pagina Facebook della Cappellania dell’Università Gregoriana, “Il giardino segreto”, luogo immaginario in cui fiorisce la bellezza nelle diverse forme: arte, musica, poesia. Iscritta all’ACDMAE quasi fin dagli inizi, ne è stata a lungo Presidente.