di Lavinia Coppola De Nicolo
E’ possibile inventarsi una nuova economia, conciliare mondi diversi, fondere culture lontanissime, strappare interi villaggi alla fame, dare potere economico e decisionale alle donne, produrre in maniera ecosostenibile, in poche parole, mettere in pratica in uno dei paesi più poveri e arretrati del mondo, quello che le Nazioni Unite auspicano con le raccomandazioni dell’Agenda 2030?
Questa è la storia di un sogno, perseguito e amato, che con pochissimo potrebbe essere realizzato.
In Guatemala, un lontano paese del Centroamerica sopravvivono tecniche ancestrali che riportano in vita prodotti di cui abbiamo dimenticato l’esistenza: i tessuti colorati, con disegni che risalgono ai tempi della civilizzazione Maya, ognuno portatore di un simbolismo che racconta la storia di un popolo fiero, caratterizzano la produzione di questo piccolo paese, annidato fra montagne, vulcani, e il mare.
Un paese nel quale convivono due stili di vita, due contesti sociali, completamente diversi: a differenza di chi vive nelle città o a ridosso delle stesse, la popolazione indigena, che abita ancora le grandi e fitte foreste guatemalteche, continua a condurre una vita fortemente legata alla terra, all’agricoltura, alle tradizioni e ad una religione sempre molto presente nelle loro scelte e nelle loro abitudini. Nelle case vengono prodotti gli huipiles, gli abiti tradizionali, con cromatismi strettamente legati al simbolismo religioso, le donne al “telar de cintura”, gli uomini al telaio grande, copia di un telaio introdotto dagli spagnoli nel XV secolo.
Per le donne maya il huipil rappresenta il capo più importante del proprio abbigliamento, utilizzato da millenni in tutto il Mesoamerica. E’ uno degli elementi della tradizione autoctona che meglio si è conservato dopo la conquista da parte degli spagnoli. Ogni villaggio mantiene un proprio stile immediatamente riconoscibile ed identificativo ed in Guatemala se ne contano più di cento, utilizzati ancor oggi dalla maggior parte della popolazione indigena: una semplice tunica, dai ricami e broccati di colori vivaci. Con le sue trame elaborate, il huipil è molto più di una blusa tradizionale, è una tela che racchiude simboli ancestrali a difesa dell’identità etnica, quasi come un libro di storia che testimonia la creatività e l’eccezionale capacità artigianale di un popolo in condizioni svantaggiate, che combatte per mantenere la propria tradizione e la propria cultura.
Eppure proprio questa grande capacità artigiana, questi gesti antichi capaci di produrre tessuti incredibilmente complessi, sembrano essere la chiave per un’evoluzione economica, sociale e culturale del popolo guatemalteco.
E quale sinergia se non quella fra tradizione e capacità degli artigiani guatemaltechi e capacità imprenditoriale e creatività italiana può avere un riscontro positivo? Questo è il sogno del nostro ex console onorario a Quetzaltenango, la seconda città del Guatemala per numero di abitanti.
L’idea generatrice del lavoro di Gianni Iannello in questo campo è stata di convertire la capacità tessile tradizionale, sfruttando il sapere cromatico di questi popoli, strettamente legato al rapporto con la natura, in produzione moderna e attuale, adattandola al gusto e alle esigenze della società contemporanea e producendo tessuti più semplici, di rapida realizzazione e dal costo contenuto, con un facile ritorno dal punto di vista reddituale per i locali.
Attualizzare la capacità tessile, infatti, può avere un risvolto economico importante: tessere è un’attività tradizionale diffusa ovunque nelle comunità e quindi ovunque c’è la possibilità di generare introiti extra agricoli di grande aiuto per le famiglie.
All’inizio degli anni ‘90, quindi, con una solida esperienza dirigenziale alle spalle, dopo un lungo studio su telai, orditi, tipi di pettine usati per tessere, colori, trattamento non chimico dei filati, insieme agli artigiani di Parramos, Gianni comincia a fare prove tessili semplici e realizza una piccola collezione di tessuti coloniali: in Guatemala, infatti, si produceva tessuto di seta, introdotto dai coloni spagnoli arrivati nelle Americhe, la cui produzione fu prima soggetta a restrizioni e poi vietata per evitare la concorrenza alla produzione dei filati reali spagnoli.
Insegna non solo la produzione dei tessuti ma anche la gestione dei costi, i requisiti delle materie prime, il controllo di qualità sulla produzione, la disciplina del lavoro e, a metà degli anni ‘90, con le persone che ha formato, comincia una produzione per le boutiques di arredamento di Antigua e per l’esportazione verso l’Italia, con un’azienda di Torino che vende con successo questi tessuti per la produzione mobiliera.
Un aiuto concreto è poi arrivato da diversi progetti dell’UE, che hanno permesso di allargare il know how acquisito negli anni precedenti ad altre zone del paese: il progetto ALA su lago Atitlán, il progetto IXIL premiato dal Ministero della Cultura, il progetto Prodetoto a Totonicapan, e un progetto con la ONG italiana “CISP Colores Q’ekchi”, in cui è stato inserito anche il crochet.
Finiti i progetti, gli artigiani tessitori sapevano fare i tessuti ma non erano in grado di gestirne la commercializzazione. Il problema dei progetti è proprio qui: alla chiusura, il gruppo coinvolto viene abbandonato a se stesso e non è in grado di gestire il seguito e di tradurre in realtà produttiva ed economica quanto elaborato all’interno del progetto finanziato.
Ed è proprio questo il senso della “Partnership for the Goal”, l’obiettivo 17 dell’Agenda 2030 dell’ONU: insieme, unendo le forze e le conoscenze, si può trovare, attraverso la creazione di un’attività economica profittevole per tutti, una reale soluzione ai problemi di questi popoli svantaggiati, una soluzione che passa necessariamente per l’empowerment delle donne che tradizionalmente detengono il ruolo di tessitrici nelle loro comunità. Un’attività, inoltre, ecosostenibile, svolta senza l’utilizzo di materie prime nocive per l’ambiente, con pigmenti naturali e con macchinari tradizionali di scarsissimo impatto sull’ecosistema. I campioni di tessuto, le capacità degli artigiani, lo studio della fusione di tecniche tradizionali e linguaggio moderno sono lì, a disposizione di chi volesse lanciarsi in quest’avventura, di chi volesse creare bellezza e ricchezza in un luogo lontano e affascinante.
Lavinia Coppola De Nicolo
Dottore commercialista e revisore contabile, lascia Napoli e la professione per seguire il marito funzionario diplomatico in giro per il mondo. Mamma di due ragazze, appassionata di sport (equitazione in particolare), di musica, di cinema, di arti figurative e accanita lettrice, dopo aver ricoperto dal 2017 la carica di Tesoriere è stata recentemente nominata Presidente ACDMAE.