di Anna Orlandi Contucci Iannuzzi
Di solito si dice: mai abbandonare la strada vecchia per la nuova…Ma la diplomazia interculturale non rappresenta una nuova via, mauna via intermedia che affonda le sue radici nella diplomazia tradizionale e che, pur differenziandosi è compatibile, con questa. Ma cosa s’intende per diplomazia interculturale? Una diplomazia che, nell’analisi diplomatica di un qualsiasi avvenimento, situazione politica o sociale di un paese, includa le realtà valoriali del paese stesso e le sue dinamiche. In quest’ottica l’analisi diplomatica da micro diventa “micro” e “macro” assieme, in quanto tiene conto della cultura del paese e dei suoi valori di riferimento. Valori riconosciuti quali: patria, famiglia, appartenenza e ruolo. Così un diplomatico per definirsi “interculturale” deve mostrare la sensibilità e la capacità di osservare a fondo la realtà “altra” – quindi diversa – del paese in cui lavora e deve riuscire a individuare quelle aree operative “comuni” su cui operare per trovare aspetti dinamici e creativi, che possano fornire nuove sintesi e indirizzi alla sua attività diplomatica.
Ma la diplomazia interculturale è veramente possibile o sono solo belle parole che cozzano con la concreta realtà? L’Ambasciatore a Khartoum Fabrizio Lobasso, docente all’UNINT di Roma e fondatore della prima cattedra in questa materia, risponde alle nostre domande.
Come nasce la diplomazia interculturale?
Nasce da una presa di coscienza, cioè da un atteggiamento di apertura, di dialogo, che abbraccia anche l’inclusione dell’altro, specie in termini di comprensione dei valori più profondi, che stanno alla base della società in cui ci si trova a operare. Nel tessere relazioni internazionali tra culture molto diverse, la Diplomazia interculturale consente di individuare punti di sintesi che portano il funzionario diplomatico, e quindi l’intera sua missione, a risultati più efficaci, a performance più ricche e al raggiungimento di obiettivi più completi. La diplomazia interculturale si sviluppa sia a livello micro che macro. Può riferirsi all’individualità e cioè all’acquisizione di soft skills e di competenze personali che consentano di raggiungere maggiori livelli d’inclusività e di creatività sintetica. Ma può trovare riscontro anche a livello più ampio, in un’intera azione diplomatica bilaterale o multilaterale ispirata all’interculturalità. La pratica della Diplomazia investe un vasto campo di azione che va dalla politica al commercio, alla cooperazione, alla solidarietà, alla creatività del diritto. In questo l’Italia può essere un attore privilegiato essendo munito, a livello d’individui e come nazione, di particolari doti di apertura al dialogo e all’inclusione sintetica dell’altro.”
Su quali valori si fonda la diplomazia interculturale?
“Ci sono alcune chiavi o componenti strumentali che, se adottate nell’attività psico-comportamentale di tutti i giorni, aiutano ad agire e vivere inforcando lenti interculturali. Ascolto empatico e partecipativo, apprezzamento delle diversità e, ancora, dialogo a oltranza, tolleranza e comprensione delle dinamiche sociali, economiche, politiche ed umane del paese ospitante. Ma anche creatività, capacità d’inclusione e capacità di modificare una prospettiva funzionale per migliorare la comprensione delle situazioni relazionali. Quindi pazienza, ingegno e sintesi. La loro applicazione nelle azioni e reazioni comportamentali di fronte a situazioni quotidiane aiutano a sviluppare un’attitudine permanente e naturale all’interculturalità: ovvero quella predisposizione che tende a sospendere il giudizio, per arrivare a conoscere meglio la realtà circostante in tutti i suoi significati ed a metabolizzarla a pieno.”
Che applicazione ha a livello internazionale e quale il suo futuro?
“Ho individuato sette direttrici lungo le quali poter svolgere ottime performance ispirate alla diplomazia interculturale. La politica, la promozione culturale, la promozione commerciale, la cooperazione allo sviluppo, la comunicazione istituzionale, la solidarietà e l’ambito giuridico. La diplomazia italiana, oramai famosa nel mondo per il suo carattere di diplomazia “ibrida” si avvale, per esempio, del contributo di molte componenti istituzionali: imprese, ONG, associazioni, enti, categorie, movimenti. Tutti partecipano con il loro quid alla promozione dell’Italia. Tra questi “attori”, vedo un posto di eccellenza per la ACDMAE. Il ruolo dell’associazione in termini di diplomazia ibrida e di comprensione profonda del paese ospite per agevolare il lavoro della missione diplomatica ha potenzialità immense e ancora inespresse.”
Ma come si diventa un diplomatico interculturale?
“E’ importante approfondire la propria crescita personale e professionale, sviluppando conoscenze e migliorando le proprie competenze relazionali e comportamentali. Osservare a fondo un paese significa capirne le dinamiche. Empatia, ascolto attivo, osservazione partecipata, exotropia. Trarre nutrimento dalla diversità per capire meglio gli altri, farsi capire meglio e lavorare meglio per raggiungere obiettivi maggiori.”
La diplomazia interculturale ci indica quindi un habitus mentale, che non ci è sconosciuto ma che combacia con quell’ottica interculturale che adottiamo – spesso anche inconsapevolmente – ogni volta che viviamo una nuova sede estera. Certo, all’inizio le incombenze e difficoltà quotidiane tendono a distrarci, ma poi spinte dal desiderio di fare nostra la nuova realtà, ci poniamo in ascolto attivo. Entriamo in comunicazione con la realtà “altra” e arriviamo ad approfondirne le caratteristiche culturali e sociali in un approccio che non può che definirsi interculturale. Così la vita nella sede estera diventa un vivere “inside” e non un lasciarsi vivere. E l’esperienza all’estero ci fornisce un indiscutibile bagaglio di conoscenze ed esperienze, che ci arricchiscono fino a diventare capacità professionali, da potere anche rivendere nella ricerca di un lavoro al rientro in Italia.
Anna Orlandi Contucci Iannuzzi
Dopo la Laurea in Economia e Commercio alla Luiss di Roma, ha lavorato per dieci anni in una società finanziaria. Si specializza successivamente in tutela dei diritti dei minori mettendo in pratica le proprie competenze presso l’Area Diritti dei bambini del Comitato italiano per l’Unicef. Ha anche collaborato con il desk “Ascolto” del Centro Sociale Vincenziano Onlus a sostegno delle persone in difficoltà, e oggi lavora stabilmente a Roma, presso l’Ufficio del Grande Ospedaliere del Sovrano Ordine di Malta.