di Eleonora Mancini Durante Mangoni
Un racconto, un pizzico di poesia, per augurare a tutti voi buon Natale, buone feste!
E’ la notte di Natale. Una notte qualsiasi per Gaspy e per i geni dell’informatica come lui, usi a sublimarsi in formule matematiche e a sognare per algoritmi. Chino sulla tastiera del computer, Gaspy non pensa che ai numeri della sua Equazione, quella che gli cambierà la vita, quella che – ne è certo – sarà l’intuizione più geniale dopo la teoria della relatività.
E non pensa ad altro Gaspy. Per questo rimane interdetto quando il video esplode in luce e si riempie di stelle.
“Ci risiamo anche quest’anno! – sbuffa – Ecco l’ennesimo fesso che mi fa gli auguri all’ultimo minuto!”
Ma subito, un guizzo luminoso gli gela il sangue: “Un virus? Un maledetto nested bug!”
E’ terrorizzato all’idea che un virus possa fargli perdere anni di lavoro, o peggio ancora … l’Equazione!
Il fiato è corto, le dita corrono sulla tastiera: prova a passare in stand-by, ma i bagliori dal video crescono d’intensità, invadono lo spazio tutt’intorno ed avvolgono l’incredulo ingegnere informatico in un carosello di luci che, inaspettatamente, lo inghiotte. Gaspy vacilla sulla sedia girevole, schizza come per una tangente astrale, vola per un tempo che sembra infinito e infine atterra, con una sonora sederata, sul pavimento.
La schiena gli duole, le gambe scomposte a mezz’aria, Gaspy scrolla la testa intontito. Leva gli occhi allo schermo e, stupito, legge: “VENITE”.
Una scritta leggera, aggraziata e tonda dal tratto sottile ed azzurrato, spicca sul video. In alto a destra, un riquadro di Google Maps e un percorso.
Gaspy si rialza per vedere meglio: è un itinerario che porta fuori città, in una zona che conosce bene, c’è stato mille volte in bicicletta. Eppure, a ben guardare, la linea blu del navigatore segue una stradina contorta e misteriosa che non ha mai percorso, ne è certo.
“VENITE” legge.
“Una festa? Un invito? Per la miseria, vado là e faccio una strage!”.
E non ci mette molto a decidere sull’onda della rabbia: “Vengo!”
Pesantemente si alza e con passo malfermo va a vestirsi. Seduto sul letto, si infila i calzini. Ora che è fuori dal cerchio di luce del computer, la rabbia inaspettatamente, rapidamente si stempera. Sente di avere il respiro fluido e nel cuore un fremito composito e irrazionale, un fremito così avverso allo scatto semplice del calcolo binario a cui la sua mente è avvezza:
“Se è una festa, ci vorrà un regalo e io…”
Da quanto Gaspy non compra più regali!
Da quando Lea se n’è andata urlandogli addosso ogni sorta di disillusione dalla tromba delle scale. Da allora, lui acquista solo online e esce meno possibile. Da un anno e centosessantatré giorni, per l’esattezza.
Lo sguardo allibito va sui fogli sparsi sul pavimento. Sembra accorgersi solo ora di quanti calcoli abbia fatto, di quante formule abbia sviluppato, di quanti numeri abbia scritto in un anno e centosessantatré giorni.
“Non esiste un numero che contenga così tanti numeri. E non esiste cuore che possa contenere l’attesa di un amore ruzzolato per le scale!” si dice ancora una volta, sconsolato.
Un anno e centosessantatré giorni di numeri sublimati nell’Equazione intuita solo poche ore fa, quella per cui la storia probabilmente si ricorderà di lui. L’Equazione che colmerà la sua vita senza riempirne il vuoto, partorita tra dolore e genio, sublime ed amara. Come mirra.
Prende il foglietto su cui l’ha scritta, il più prezioso, e lo chiude nell’ultimo pacchetto vuoto di sigarette. Lo fa con tocco delicato e respiro lieve, lo fa come se chiudesse uno scrigno tempestato di diamanti. Uno scrigno e il suo tesoro.
Cos’altro potrebbe portare in dono?
Piumino, cappello, guanti e sciarpa. Chiavi di casa, del garage, del lucchetto della bicicletta. E giù a rotta di collo per le scale, i gradini a quattro a quattro, preso da un’urgenza che non conosce.
Mel è già lì che olia la catena. Nella penombra del garage i peli bianchi della sua barba sembrano guizzi di luna. Mel, che da sempre è canuto e da sempre vecchio, da quando aveva vent’anni ed era al primo anno di Paleontologia.
Gaspy si ferma incantato, a guardare quelle dita lunghe e forti che con delicatezza percorrono la catena della bicicletta, la stessa delicatezza con cui Mel accarezza crani e fossili preistorici di cui è pieno il suo appartamento da paleontologo.
“E’ tenerezza” gli aveva detto Mel un giorno con la voce incrinata di commozione.
E non aveva saputo spiegare. Del resto, come dire la commozione infinita che lo assale ogni volta che ha tra le dita un reperto? Seduto alla scrivania, la lampada a luce bianca accesa sui guanti sterili, Mel intensamente avverte il calore rimasto nelle porosità di ossa antiche, intuisce il groviglio delle vene, lo scatto del muscolo, la tensione immutata di vite che crederebbe ancora al futuro, se ne avessero. In ogni teschio del paleozoico, in ogni tibia, costola o protuberanza ossea, Mel intuisce la fanciulla ridente celata nel ghigno sghembo, il giovanetto agile nelle saldature incerte, il bimbo vispo nelle scalfiture amorfe. E per quel bimbo che fu, sente una tenerezza infinita: “Bimbo mio, cosa ti ha fatto il tempo…”.
Del resto, non c’è che il tempo, forma e scrigno di ogni cosa, scrittura e poesia d’ogni vita, Mel lo sa.
Per questo, guardando lo schermo del computer pieno di stelle, non ha avuto dubbi. Ha estratto dall’armadio un omphalos attico e si è seduto a terra, a testa china. Denso e solenne il tempo, il suo tempo, ha colmato l’omphalos di bagliori riflessi. Mel lo ha richiuso con cura e con cura lo donerà, perché sa che il tempo dona tutto e tutto si riprende, facendoti prezioso. Come oro.
“E Baldo? Dov’è Baldo?”
“E chi lo sa? Non ti pare che si sia levato vento di Ponente?”
La domanda resta impigliata al filo nudo della lampadina che pende dal soffitto del garage, in attesa di Baldo che di sicuro non tarderà. Ancora un’occhiata alla mappa e partono, in sella alle biciclette.
Procedono in silenzio, le ruote frusciano sull’asfalto liscio, la notte è umida e una nebbia di bambagia li avvolge.
Potrebbero interrogarsi su quanto è accaduto, ma il pensiero si perde nel palmo della mano che stringe la manopola vellutata del manubrio, fluttua nelle volute disegnate dai raggi delle ruote, si frammenta tra le briciole di asfalto che stridono man mano che le biciclette avanzano nella notte.
Attraversano i vicoli stretti del centro, poi i lembi della città, sorpassano i cubi delle case nei quartieri moderni e periferici, i quadrati neri delle finestre e qualche cane che abbaia alle ombre. Risalgono i tornanti degli svincoli illuminati di arancione e si allineano sulla tangenziale che li porta lontano dalla città.
Il buio ai lati della strada è profondo, il bosco sembra deserto, ma sanno che non è così: intuiscono il passo lieve dei caprioli, il guizzo lesto degli scoiattoli ed il frullio sommesso di mille e mille ali che annunciano questa notte ed il suo compiersi.
Potrebbero interrogarsi, ma…
Ma uno stridor di freni li assale. Un volto bruno esce dalle tenebre e labbra carnose sibilano: “Voi !“
Le biciclette di Mel e Gaspy vacillano.
Gaspy ride riprendendo l’equilibrio e dà di gomito a Mel: “Te l’avevo detto che era vento di Ponente!” e scende dal sellino per abbracciare l’amico appena apparso.
Baldo invece incrocia le braccia e resta seduto in sella, le lunghe gambe ben piantate a terra, il bel viso abbronzato li sogguarda perplesso. Odora di salmastro e olio da motori.
E’ sorpreso di incontrarli lì. Non avrebbe mai creduto possibile che anche loro, di già…
Non se ne convince! E allora racconta: “Tutto ha avuto inizio con il plenilunio” sussurra eccitato Baldo. Era in barca in mezzo al mare, assorto sul moto delle onde, le vele al lasco e la notte stellata. Una notte così nera e stelle così luminose e una luna così rossa Baldo non le ricordava da mai.
Una notte così non passa inosservata, non a lui almeno che vive sul mare dieci mesi all’anno, che ne conosce i respiri ed i fremiti tanto quanto i muggiti e i fortunali.
Stanotte, Baldo era in ascolto e in ascolto erano anche le onde, gli zefiri della notte, i pesci ed i coralli del mare. Un ascolto così immobile ed un silenzio così profondo da farti sciogliere in attesa densa, infinita e nera come il mare.
Le stelle gli erano apparse all’improvviso, comete bizzarre e splendenti a solcare il cielo, sfuggenti e arcane a chiunque.
Ma non a Baldo!
Lesto, incrocia raggi medi, parasec e parallassi, traccia linee, allinea quadranti, consulta carteggi e tutto gli è chiaro: “Non c’è un minuto da perdere!”
Ricalibra la bussola e veleggia verso terra. Prima, però, infila la mano sicura nel sacco della grande rete da pesca appesa al boma e cerca la più bella: la conchiglia più bella che abbia mai raccolto in mille e più di mille spedizioni oceanografiche! Rifulge bianca, cangiante di madreperla, brillante di microrganismi calcarei, tra le volute l’eco del mare. Ma ciò che è straordinario è il profumo, di aroma intenso e pungente, remoto e arcano. Profuma, come d’incenso.
Baldo raggiunge il porto e ammaina le vele, sbarca la bicicletta e si dirige sicuro sulla tangenziale. Gli amici sarebbero arrivati, ne era certo, ma chissà quando!
Per questo trovarli di già lì, lo lascia esterrefatto.
Baldo parla tutto d’un fiato, e intanto Gaspy pensa che parla già la lingua del vento con cui dialoga per dieci mesi all’anno e che, si sa, non attende risposte. Anche Mel lo guarda attento e pensa che Baldo è giovane, ancora giovane, giovane da sempre e probabilmente sempre lo sarà, brunito dal sole e rinnovato dall’acqua che lambisce il suo corpo e la sua vita.
Ora pedalano tutti e tre. Sfrecciano come se avessero le ali, come portati dagli angeli, come impigliati alla scia delle comete. Non è raro incontrare altri che procedono sicuri nella stessa direzione, uno sguardo veloce alla mappa e poi al
cielo, uno sguardo furtivo e ridente a chi si affianca e sorpassa veloce. Gente che ha negli occhi la stessa domanda, da sempre la stessa, tutt’uno con la strada che si snoda sconosciuta, con l’andirivieni lesto dei piedi sull’asfalto o con l’evoluzione gioconda dei pedali.
Del resto, nessuno attende risposte: le stelle, si sa…
“Ohè Beninooo!” urla Gaspy sfrecciando accanto al benzinaio che dorme sulla sdraio consunta, la mano abbandonata sul testone del cane, la pompa di benzina immersa nella luce sbiadita del neon. Gaspy non può dire se l’abbia mai visto sveglio e lo assale un sentore di ricordi familiari, di riti consueti e notti d’incanto. Un ricordo puro, salvifico.
Finché la luce bianca dell’aurora li lambisce e capiscono di essere giunti.
Ora, non sanno più cosa fare. Guardano e tacciono nel silenzio dell’universo.
Tacciono, finché con l’alba non risorgono fruscii sommessi e distanti come di agnelli al pascolo, gorgheggi flessuosi come di galli al risveglio ed il ritmo mite dei piedi di Mel che si avvicina per primo.
Mel del Tempo si inginocchia e con dita forti e delicate estrae il suo dono. Piega la testa e tenerezza lo investe, una tenerezza eterna che riaccende il calore nelle sue ossa, che cancella la barba bianca dal suo volto e per una volta, anzi per sempre, lo fa bambino e lo rende al suo futuro.
Gaspy dell’Infinito vacilla ora. Ora, che vede e sa che non c’è un numero per contare i numeri, ma sa che c’è un cuore per cui conta ogni attesa. Si inchina leggermente, nel piccolo pacchetto ha tutto di sé, le mani tese nell’offerta.
Baldo del Mare guarda e sorride, mentre fruga nella tasca ancorata alla sella della bicicletta in cerca del suo dono: “E’ qui da qualche parte … debbo pur averla messa da qualche parte…”
E quando infine trova lo scrigno perlaceo e sente l’eco del mare, tende anch’egli le mani e anch’egli non sa che dire, se non
“Così…” nient’altro che “Così sia”.
Eleonora Mancini Durante Mangoni
Una laurea in Lingue e Letterature Straniere e una specializzazione all’Università Statale di Mosca, vari anni di lavoro nell’ambito della comunicazione e promozione del “made in Italy” all’estero. Attualmente lavora per la ROBERTO COIN s.p.a. Ha collaborato con scrittori e giornalisti in progetti editoriali, conducendo lo studio dei materiali di ricerca in lingua russa. Ha vissuto in Russia, Libia, Giappone.