di Andrea Miraglia del Giudice
I legami tra il Brasile e l’Italia sono sempre stati molto forti. Anche qui, come nel resto del mondo, il Bel Paese ha notevolmente arricchito i costumi locali ma in pochi ne sono al corrente. È curioso, per esempio, scoprire come uno sport da spiaggia, il beach tennis, non solo sia stato “inventato” in Italia, ma sia stato introdotto a Rio da un italiano. E in pochissimi anni è diventato uno sport talmente in voga da diventare quasi un “cult” nelle spiagge carioca.
Per capire meglio le “contaminazioni” tra i due Paesi ci soffermeremo brevemente su queste realtà, solo in apparenza tanto diverse.
Rio, la Cidade Maravilhosa (città meravigliosa), è la città brasiliana forse più conosciuta al mondo. Il suo nome nell’immaginario collettivo è sinonimo di bellezza: per la sua posizione, per la natura che la circonda e per com’è stata costruita, è una delle città più visitate e desiderate dal turismo. Nel secolo scorso era anche una Capitale del glamour, nota per le feste mondane patinate che attiravano il jet-set internazionale. E anche quest’aspetto particolare ha lasciato un’impronta profonda nel modo di vivere: la ricerca del bello, dell’allegria e della spensieratezza procedevano di pari passo e tuttora influiscono sull’atmosfera che si respira città. La “Belle Époque carioca”, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, ha visto crescere tumultuosamente Rio anche grazie all’immigrazione italiana che, dopo quella portoghese, è stata la più numerosa e vivace. Seguì un lungo e doloroso declino, durante il quale Rio è rimasta comunque una città mitica per molte persone.
Con il nuovo millennio però la tendenza è sembrata invertirsi e la città, tornata protagonista di eventi di portata mondiale culminati nelle Olimpiadi del 2016, ha ripreso a calamitare investimenti e turismo internazionale come ai bei tempi. La rinascita sembrava possibile così come porre rimedio alle ben note piaghe del Brasile: oltre la corruzione endemica, l’arretratezza delle infrastrutture e la decadenza del sistema educativo e sanitario, fattori che hanno drammaticamente approfondito il divario tra ricchi e poveri e fatto aumentare spaventosamente il tasso di criminalità nelle città. L’aggravante della pandemia non ha certo aiutato la situazione ma non è neppure riuscita a scalfire la passione per gli sport – calcio, volley e surf – che questo Paese ha coltivato nei decenni. Gli sport fanno parte della vita quotidiana e sono profondamente radicati nella cultura, specie nelle città costiere come Rio.
La sua lunga spiaggia di sabbia bianca, “incastrata” tra il mare blu della laguna e il cielo azzurro, con un clima mite quasi tutto l’anno, naturalmente favoriscono le attività all’aria aperta. L’estate è una stagione pressoché permanente: l’abbigliamento leggero lascia intravvedere i corpi e il fisico richiede una maggiore cura, cosa che i carioca prendono molto sul serio. Le attività sportive, indispensabili per restare in forma, infatti, cominciano già nelle prime ore del mattino, quando i raggi del sole sono più gentili: sin dall’alba si possono vedere tante persone fare jogging, camminare, allenarsi in spiaggia, fare meditazione, yoga o precipitarsi verso le onde con il loro surfboard. Sono però gli sport di squadra a entusiasmare maggiormente i locali e a regalare dinamismo e allegria allo stile di vita locale. E così il beach volley, seguito dal foot volley, hanno facilmente trovato l’ambiente ideale per imporsi: nelle spiagge di Copacabana come di Ipanema.
Nel Bel Paese, invece, gli sport da spiaggia sono sempre stati – per evidenti ragioni climatiche – limitati ai mesi estivi e hanno potuto svilupparsi maggiormente solo dove erano presenti fasce sabbiose costiere più ampie e, quindi, non ovunque. E anche i giochi di squadra, sono sempre stati percepiti come un’attività agonistica e per pochi, in quanto riservata agli iscritti nelle società sportive.
Verso la fine degli anni ’80, nei bagni di Marina di Ravenna, gli ultimi ospiti insieme ai bagnini, a fine giornata, cominciavano a spostarsi con i racchettoni e con una palla da tennis un po’ sgonfia verso i campi di volley, a quell’ora vuoti. Da questa piacevole abitudine del tramonto è nato a sorpresa il beach tennis, un nuovo gioco di successo che si è diffuso rapidamente su tutto il litorale adriatico: attirava grandi e adolescenti, sportivi e meno sportivi, regalando finalmente a quelle spiagge, per lo più meta di vacanzieri patiti per l’abbronzatura e tranquille famiglie, una nuova atmosfera. Il fatto di non richiedere particolare preparazione fisica e tecnica e di riuscire a coinvolgere tutti coloro che volevano giocare ha peraltro contribuito a renderlo popolare. Senza contare che i benefici per chi lo pratica sono numerosi: pur essendo un’attività intensa per via degli scatti, l’impatto per le articolazioni è basso perché si gioca sulla sabbia. La velocità del palleggio richiede anche grande concentrazione, mentre la natura divertente e informale di questo gioco, che ha anche un aspetto molto socializzante, è l’ideale per combattere lo stress.
Il successo di quest’attività in Italia fu tale che nella seconda metà degli anni ‘90 si decise di codificarne le regole: il tennis da spiaggia divenne ufficialmente conosciuto come beach tennis. Di conseguenza, il nuovo sport venne incorporato nella federazione italiana del tennis e questo contribuì alla sua crescita esponenziale nel mondo. Altrettanto rapidamente fu riconosciuto sotto l’egida dell’International Tennis Federation che volle inserirlo nei World Beach Games, organizzati a Doha nel 2019.
Oggi vivono a Rio il pluricampione mondiale Alessandro Calbucci e Gianluca Padovani, un vero pioniere del beach tennis in Brasile, entrambi romagnoli naturalmente. Gianluca, come molti, è arrivato a Rio nel 2008 con un passato sportivo, lo spirito imprenditoriale e, soprattutto, con tanta passione e voglia di lavorare. E’ stato lui a montare per la prima volta, nella spiaggia di Ipanema, due reti arrivate dall’Italia con otto racchettoni. I brasiliani, abituati al beach volley, guardavano con diffidenza la “strana” altezza della rete finché Globo Tv, la prima emittente del Paese, non mandò in onda un servizio sul nuovo sport, il tennis da spiaggia. Da allora la popolarità del beach tennis sulle coste brasiliane è cresciuta senza sosta: anche in questi ultimi mesi tristemente marcati dalla pandemia, il Brasile ha registrato un incremento del 50% degli iscritti. Qui, del resto, le infrastrutture, il clima e l’entusiasmo per gli sport all’aria aperta, sono dati di fatto, al pari dell’atteggiamento aperto e conviviale dei brasiliani che affollano le spiagge e non meraviglia che migliaia di questi, tra amatori e professionisti, abbiano scelto il beach tennis.
Gianluca è tuttora molto orgoglioso dell’opera tenacemente perseguita: portare al successo, a Rio, uno sport Made in Italy. “Il fatto di aver potuto contribuire anch’io all’immagine dell’Italia nel mondo mi riempie di orgoglio”, ha raccontato più volte, rilasciando interviste ai media brasiliani. Ma il suo contributo, in realtà, va ben oltre, perché dopo aver promosso questo sport sulle spiagge brasiliane più celebri del mondo, ha deciso di organizzare anche un corso di beach tennis per i ragazzi svantaggiati che vivono nella vicina favela. Un modo per regalare loro, oltre che una passione sportiva, chance concrete per un futuro migliore. Questo è il vero Made in Italy che ci rende tutti orgogliosi.
Andrea Miraglia del Giudice
Laureata all’Università̀ di Economia a Budapest con specializzazione in relazioni internazionali, Andrea Miraglia del Giudice ha successivamente conseguito un master europeo di interprete di conferenza alla Westminster University di Londra.
Ha vissuto in Brasile (Recife), Londra, Cina (Canton) e Caracas. Oggi si trova con la famiglia e il marito in missione a Rio de Janeiro.