di Francesca Baronio
La meraviglia del Myanmar, una volta Birmania, è che è come aprire uno scrigno segreto, a lungo dimenticato, che all’improvviso mostra tutti suoi tesori. E questi tesori non sono solo le pagode dorate, le pietre preziose e la magia dei monaci buddisti. I veri tesori del Myanmar sono le persone. Diffidenti al primo approccio, i birmani, alla minima richiesta di aiuto, o al semplice cenno di un saluto, si sciolgono in sorrisi che sanno conquistare anche il più duro dei cuori. Dignitosi nei loro Longyi – tubi di tessuto molto simili al Sarong indiano, che uomini e donne portano in colori e fogge diverse, arrotolati in vita – i birmani sono fra le poche popolazioni asiatiche a vestire ancora abiti tradizionali. A metà di una transizione che li vede uscire da cinquant’anni di feroce dittatura, si affacciano alla modernità storditi, quasi ibernati, con animi immacolati e sguardi candidi.
Li ho amati all’istante, fidandomi della mia empatia, e del loro essere così meravigliosamente naïf. Da subito ho desiderato aiutare soprattutto i bambini. In Kenya, nel lontano 1998, avevo passato anni intensi e mi ero dedicata con passione al mio lavoro, il giornalismo, e alla gioia di essere mamma con la nascita di Sveva. Mi ero ripromessa che se fossi tornata a vivere in un paese povero avrei fatto qualcosa di utile. Così, una volta arrivata in Myanmar, ho subito cercato prima un’associazione, poi un orfanatrofio. Ho conosciuto Amarylla Myatt – da tutti chiamata Emma – attraverso un’amica birmana, nel pieno della stagione delle piogge. La sua casa mi è subito sembrata un meraviglioso rifugio per il corpo e per l’anima. Di fede cattolica, in una nazione a stragrande maggioranza buddista, Emma mi ha conquistato per il coraggio, la caparbietà e, ancora una volta, per il suo sorriso. Insegnante per sordomuti, poco più che trentenne riesce a espatriare e apprende nuove tecniche d’insegnamento in Europa. Torna, piena d’entusiasmo con la voglia di condividere quanto imparato nel vecchio continente. Una volta a casa, però, è troppo indipendente e diversa, le sue nuove competenze troppo rivoluzionarie per l’epoca buia del dittatore Ne Win. Decide quindi di percorrere un’altra strada: si mette in proprio e apre un asilo. Passa poco più di un mese e sulle sbarre del cancello di casa, agganciato ai manici, trova un cestino. La sorpresa è che non si tratta della solita frutta o verdura del mercato vicino, ma di un neonato. Inizia così, quasi per caso, l’avventura di Emma. La voce si sparge e presto arrivano due fratelli di sei e otto anni. La mamma è morta e il papà non ce la fa a crescerli da solo. Poi è il turno di una ragazza madre, che lascia una bimba di un anno, infine arrivano due sorelle…
Via via prende forma Grace Home, una volta casa di Emma ora un orfanatrofio, per chi i genitori non li ha più, o per chi ancora li ha ma non è in grado di provvedere alla cura e ai bisogni di un bambino. Emma è una donna straordinaria e visionaria: molti dei suoi piccoli, che appartengono alle fasce più povere e fragili della società, sono riusciti a frequentare l’università, in qualche caso anche fuori dalla Birmania, in Tailandia e a Singapore.
In Myanmar ho quindi pensato di sfruttare la mia creatività per sostenere Emma. Una delle mie passioni, da sempre, è quella di realizzare gioielli mettendo insieme pezzi particolari che trovo nei viaggi e che poi assemblo. Benché il paese fosse ricco di pietre meravigliose, non sono riuscita a trovare subito chi potesse aiutarmi in questo finche’ non ho incontrato Cilla ed Eleonora, due meravigliose amiche, con le quali sono passata dai bijoux alla creazione di borse. Sono stati anni appassionanti. Insieme abbiamo scoperto artigiani, tessuti, sarte e ricamatrici, organizzato eventi.
Ho fondato un marchio, “Eight”, che in birmano vuol dire borsa, ma è anche il numero magico dell’Asia, mentre in orizzontale è il simbolo dell’infinito. Ho iniziato a produrre borse e borsette di tutte le fogge: prima solo pochette con giade, poi, shopping bag, tracolle, borse da spiaggia e impermeabili. La voce si è sparsa, il logo è diventato popolare e le borse “Eight” oggi sono piuttosto conosciute.
Il mio marchio ha aiutato Grace Home con una nuova pompa dell’acqua; forniture per la scuola e pentole per oltre 100 ospiti. Nell’orfanotrofio oggi c’è anche una pianola e una chitarra perché i nostri bimbi adorano cantare e molti di loro suonano. La giovane Ehmoo, grazie alle borse, ha potuto permettersi una delle scuole più prestigiose del paese ed è diventata cuoca professionista; Mou Mou oggi e’ invece una maestra; con la chitarra Marshal ha ricevuto lezioni di musica e ha inciso il suo primo cd; San Sar ha studiato da contabile …
Sono tante le storie che potrei raccontare, ma ce n’è una in particolare che mi ha segnato. Quando sono arrivata all’orfanotrofio, Chocolate aveva solo quattro anni. Passava il tempo con un gruppetto di bimbe tutte della stessa età: le due gemelle Marta e Maria, Sophie e la sorella più grande, Sandar. Chocolate era quella più in difficoltà nel gruppo. La più scura di carnagione, da cui il soprannome, la più timida e ritrosa. C’è subito stata una chimica particolare fra noi mi ha e l’ho “adottata”. Alla vigilia della mia partenza dalla Birmania, l’ho salutata spiegandole che un giorno sarei tornata, che l’avrei sempre pensata, ma che, come le avevo già spiegato, non ero la sua mamma e dovevo partire. La mia Chocolate è rimasta scioccata dalla notizia, e non ha parlato per tre giorni.
In quest’anno e mezzo di lontananza non c’è giorno in cui i piccoli e i grandi ospiti di Grace Home non mi ritornino in mente. Mi consola la certezza di averli aiutati e la gioia di averli incontrati. Sempre avrò nel cuore la gratitudine per Emma, che mi ha insegnato come con poco si può fare molto.
Francesca Baronio
Giornalista di politica estera, Francesca ha vissuto in Kenya, Danimarca, Belgio, Stati Uniti e Myanmar. Ha lavorato con La Stampa, Limes, Radio e Televisione Svizzera, Sky tg 24, Radio Vaticana e Amica. Attualmente è una giornalista Rai della redazione Esteri del Giornale Radio. Ha una laurea in Lettere Moderne e un master in documentaristica della George Washington University.