di Ilaria Nuti de Franchis
Amatrice oggi è un centro storico ancora parzialmente raso al suolo. Ma la vita continua, nonostante il terremoto di due anni fa, anzi è ripartita già all’alba di quel terribile 24 agosto grazie alla generosità e alla mobilitazione di un numero inimmaginabile di persone.
Alle porte del terzo Natale di Amatrice “che non c’è più”, ci sembra giusto ricordare storie e persone sconvolte da quella tragedia. Ormai tutti i sopravvissuti hanno un alloggio, benché temporaneo e la via principale del borgo, un tempo fra i più belli d’Italia, è stata riaperta. Ma il ricordo mi riporta a due anni fa…
Difficilmente noi italiani restiamo sorpresi vedendo delle rovine: fanno parte del nostro vissuto, del nostro DNA. Quella mattina del 24 agosto 2016 quando sulla Salaria, in direzione di Rieti, mi sono avvicinata alle belle montagne che incorniciano i paesini del rietino, lo spettacolo però era ben diverso.
Non ero mai stata in quelle zone ma ci arrivai per la prima volta al seguito di una corrispondente della Radio nazionale svedese che doveva coprire la notizia. Mi sono trovata a bordo di un’auto della municipale, il panorama fuori era quello di un paese sbriciolato, ai piedi di cime verdeggianti, dove la natura sembrava volere fare da scudo a quelle tante vite sepolte sotto le macerie.
Ricordo essere stata affiancata da parenti, amici e infermieri dell’ospedale. Tutti alla ricerca di qualcuno che non rispondeva al telefono. Ho negli occhi lo sguardo smarrito di un padre disperato perché la figlia, lavoratrice stagionale in un locale di Amatrice, non era reperibile. E mi sono subito scontrata con il desiderio mal sano di giornalisti e cameramen che, pur di raccontare quella storia, hanno calpestato la privacy di un uomo semplice e travolto dal dolore, fingendo di non registrarlo mentre parlava con dignità. Mi ritrovai ben presto a tradurre le interviste, ma anche a imporre alla corrispondente il massimo rispetto per le persone che incontravamo.
Amatrice era ormai blindata da un cordone di forze di polizia e di soccorritori ma le varie frazioni della città erano ancora aperte. Imbocco una strada pericolante – un ponte che sarà chiuso alcune ore dopo – e raggiungo Musicchio, una piccola frazione, dove vedo per la prima volta Giacomo Guerrini. Un ragazzo solare, con un bel sorriso nonostante tutto. Rispose alle nostre domande con tono pacato e poi ci propose di andare a un belvedere vicino a casa sua, dove un eremita svedese (che coincidenza!) aveva costruito una piccola cappella luogo di pellegrinaggi. Ci incamminammo fino al piazzale, dove si ergeva una croce: restava ben poco d’altro! Così Giacomo ricordò com’era il paese fino a poche ore prima… Una cittadina ordinata e tranquilla, con belle case e un corso centrale su cui si affacciavano le vetrine dei negozi e tante botteghe di artigiani in procinto di festeggiare la 50° Sagra della famosa salsa amatriciana. Le mura di cinta erano crollate in più punti sotto il peso delle costruzioni. Il grande convento era un ammasso di pietre, come tutto il resto. Mentre ascoltavo e traducevo le domande, cresceva in me l’ammirazione per questo giovane travolto nel suo quotidiano: la moglie con i due bambini, sei anni uno e sei mesi il secondo, erano partiti nel cuore della notte per Fabriano, dai nonni materni, ed erano salvi. I suoi genitori stavano bene ma gli animali superstiti erano fuori, nell’aia, perché la stalla era molto danneggiata. Una sua sorella, Maria, era stata miracolosamente estratta viva dalle macerie, “salvata” dall’arcata in pietra della cantina del bar dove lavorava la sera. Se non fosse scesa di sotto per controllare le riserve, oggi non ci sarebbe più: il bar era stato raso al suolo. Il padre di Giacomo aveva attraversato a piedi per ore, al buio, i campi cercando di arrivare al bar dove lavorava Maria nella speranza di ritrovarla. Salvo per miracolo anche il Sindaco che si trovava poco distante, sotto il portico del Comune. Fu tra i primissimi ad iniziare a scavare.
Era già l’imbrunire e siamo rientrate all’allevamento dei Guerrini dove per quella prima notte all’aperto, la famiglia aveva montato una tenda leggera avuta in prestito: non potendo abbandonare gli animali – gli sciacalli erano già all’opera – avrebbero dormito per terra, con solo un lenzuolo per giaciglio. In lontananza s’intravvedevano le luci delle ruspe e delle ambulanze che continuavano a lavorare avvolti da un silenzio assordante.
E’ iniziata così la mia esperienza ad Amatrice. Per una settimana intera ho accompagnato nelle diverse zone terremotate tre giornaliste della stessa radio svedese che trasmettevano in diretta, due volte al giorno, sempre in un luogo diverso purché appartato. Le ascoltavo cercando di immaginare la reazione del loro pubblico, lontano migliaia di chilometri, in un paese che non conosce il terremoto e non può capirne ne’ la forza ne’ le conseguenze: riuscire a comunicare la realtà che avevamo sotto gli occhi era molto difficile e quindi alternavamo le testimonianze raccolte tra i sopravvissuti, alle dichiarazioni istituzionali e degli esperti: dai tecnici ai sopraintendenti, dai geologi ai responsabili della protezione civile.
Tornai ancora ad Amatrice con le giornaliste, il 30 agosto, sotto una pioggia battente, questa volta per i funerali di Stato. Coperte da un sacco per la spazzatura condominiale trasformato in poncho per proteggere la radio, siamo arrivate sotto la tenda allestita come Chiesa. Tutta bagnata, guardavo quelle trenta bare allineate, ognuna circondata dai familiari e sentivo che qualcosa in me stava cambiando. Una suora pregava per un conoscente sopraffatto dal sisma durante le ferie. Una scolaresca piangeva sul feretro di una compagna di classe. Un papà con il figlio più piccolo e i nonni, che non si davano pace perché avrebbero voluto essere loro in quelle due casse, al posto della nuora e della nipote più grande. Questo è il terremoto. Colpisce come una furia, all’improvviso, e non da’ scampo. Sulle altre casse, foto di persone sorridenti che ora ci guardavano da lontano. Sono riuscita ad ascoltare la bella omelia del Vescovo di Rieti, Domenico Pompili, nonostante le interruzioni della giornalista che voleva capire il discorso, prima di trasmettere in diretta, da una tenda dell’Ordine di Malta allestita lì vicino.
Quando sono tornata alle esequie, il Sindaco di Amatrice parlava ai presenti senza retorica, con parole di grande umanità e dolore sincero. All’appello mancavano quasi 300 suoi concittadini ma lui ripeteva che “ripartiremo, Amatrice rinascerà dalle macerie”. Quando finì la cerimoniami sono ritrovata accanto a lui e senza sapere come, ci siamo abbracciati. Volevo dirgli che, come italiana e come semplice cittadina, ero con lui e con la sua gente. Mi sono accorta che piangeva ma potevo solo stringerlo forte cercando di dargli un briciolo di forza. A Cerimonia finita, ho rincontrato casualmente i Guerrini: stavano cercando indumenti caldi nella tenda dei soccorritori dell’Ordine. Mi è venuto spontaneo chiedere un numero di telefono per stare in contatto con loro e da questo semplice gesto è nato il legame che tuttora mi unisce a questa famiglia. Passarono settimane prima di riuscire a farmi dire come potevo aiutarli in concreto ma poi mi fu chiaro che il loro problema principale era riuscire a mangiare perché la mensa allestita per i terremotati richiedeva ore di coda e loro non potevano abbandonare gli animali per lungo tempo.
Ho così iniziato a portargli ogni settimana un carico di alimenti freschi e indumenti. Raccoglievo anche spiccioli – 2 euro a testa – tra le amiche del Coro di Santa Cecilia e con quel poco continuai ad aiutarli per oltre un anno. In seguito, altri drammatici eventi – il sisma di Norcia e la valanga di Rigopiano – portarono l’attenzione dei media altrove. Ma io sono rimasta ad Amatrice. Qui ho eseguito una mappatura di 16 allevamenti e, grazie a una rete di benefattori, ho fatto arrivare ben tre TIR carichi di fieno per gli animali, che erano allo stremo. In quelle zone montagnose tante famiglie vivevano ancora ammassate nelle roulotte. Le donne erano visibilmente stravolte, ma senza perdersi d’animo, nel fango e col freddo, continuavano ad accudire in qualche modo il bestiame e a cucinare su fornelli di fortuna. Guardavo con rabbia mista a dolore la grande dignità di quelle famiglie che non avevano più nulla e che, nonostante tutto, non volevano abbandonare i loro animali. Amatrice poteva capitare a ognuno di noi… Ma nella settima potenza del mondo, a distanza di oltre un anno dalla tragedia, c’erano ancora cittadini in quella situazione! A fare da contraltare a uno Stato che sembrava assente, è stata la generosità spontanea e la grande umanità mostrata dai tantissimi italiani che si sono mobilitati dando vita a uno sforzo collettivo senza precedenti. Nelle mie frequenti trasferte in quei luoghi, ho sempre incontrato volontari – singoli o associazioni – che portavano aiuto o almeno un po’ di calore umano. Un vero fiume di solidarietà! A volte passavo a trovare il simpatico Sindaco nel suo bunker, con la porta sempre aperta, la sua felpa rossa e quel sorriso stanco ma carico d’umanità che regalava a chiunque arrivasse. L’ho anche affiancato come traduttrice durante la visita del Premier canadese Trudeau. In quell’occasione, fu fiero di mostrare la stazione radio che aveva aperto in quel che rimaneva di casa sua, e dalla quale ogni sera, alle 19:00, parlava ai suoi cittadini per confortarli e aggiornarli.
Alle porte del terzo Natale, Amatrice non è ancora tornata del tutto alla normalità e la generosità delle persone continua. A casa Guerrini, il terremoto ha sconvolto la vita di tre generazioni che ora non vivono più insieme. Maria lavora a Teramo, dove ha incontrato il suo compagno. L’altra sorella, Barbara, ha ritrovato un lavoro in un ristorante ma Giacomo, che continua a fare l’allevatore, ha perso la famiglia perche’ la moglie l’ha lasciato portandosi via i figli. Per fortuna i suoi genitori sono roccia ben piu’ solida di quella sbriciolata dalla faglia: continuano a lavorare senza sosta e a mantenere un focolare sempre acceso e accogliente per chiunque passi.
DONARE E’ ANCORA POSSIBILE:
- Si può contribuire all’acquisto del legname necessario per costruire una nuova casa antisismica per Giacomo con un bonifico : IT44=o832773470000000004789 (BIC: ROMAITRR) intestato a Giacomo Guerrini o scrivere a: Ilariadefranchis@gmail.com
- Si può contribuire alla ricostruzione di Amatrice – Poggio Vitellino acquistando “Amatrice non c’è più ma c’è ancora”, di Elena Polidori, Edit. Neri Pozza, 2018. Proventi destinati alla ricostruzione
Ilaria Nuti de Franchis
Diplomata come traduttrice e poi come interprete di conferenza in inglese, francese e spagnolo, si è laureata in lingue moderne a Milano. Da 30 anni è interprete all’UE e lavora tra Bruxelles e l’Italia. Presidente della sezione belga della CRI, ha creato una borsa di studio per specializzandi in trapianti. A fianco dei senza fissa dimora e degli immigrati, ha collaborato nella realizzazione di varie opere di assistenza, attività che svolge tutt’oggi a titolo volontario. E’ madre di 4 figli ed è stata per 10 anni delegata EUFASA dell’ACDMAE. Ha vissuto in Iraq, Bolivia, Stati Uniti, Bruxelles, Madrid e Francia.