di Susanna Bonini Verola
Quando si cerca di decifrare il Canada, di comprenderlo a fondo, si rischia sempre di commettere almeno due gravi errori: il primo, è quello “di vederlo come un’estensione degli Stati Uniti”, il secondo quello di considerarlo “una proiezione dell’Europa oltre l’Atlantico”. Nasce da luoghi comuni ma profondamente radicati come questi, la necessità di compiere un “viaggio dentro l’identità del Canada” per scoprire da dove prende le mosse il cosiddetto modello canadese, tuttora considerato l’esempio meglio riuscito al mondo di società multietnica, democratica e pacifica. E’ questo il viaggio-ricerca compiuto da Fabrizio Nava, diplomatico in carriera dal 1995, in “True North”(Rubbettino editore, 2020, 238 pp), libro sbarcato da un paio di mesi nelle librerie italiane. Nava è un acuto osservatore di formazione ma soprattutto un profondo conoscitore di questo Paese dove, per scelte di vita e di carriera, ha vissuto per ben otto anni (coincidenza piuttosto rara per un diplomatico della Farnesina) ricoprendo due diversi incarichi – responsabile dell’ufficio commerciale dell’Ambasciata di Ottawa prima, e funzionario vicario della stessa Ambasciata poi – in due missioni diverse e distanziate nel tempo.
Non appena “True North”, la prima fatica editoriale di Nava, arriva tra le nostre mani restiamo colpiti dall’immagine di copertina: non la solita foglia d’acero, il simbolo e la bandiera canadese nel mondo, ma la riproduzione di un dipinto specialmente concepito per questo libro e concesso all’autore da un’artista indiano-americana di Houston, Swati Korde Sardesai. Si tratta di una maple leaf dai contorni sfumati e di color rosso vivido, dipinta su sfondo nero. Un’opera che rimanda ai contrasti di cui il Canada, il secondo paese più vasto al mondo dopo la Russia, è naturalmente ricco, alle sue radici storiche più profonde e, ovviamente, all’albero d’acero che ricopre buona parte del territorio ed è il simbolo nazionale che rappresenta senza dubbio tutti i cittadini canadesi, senza distinzione di razza, cultura, credo o opinione.
Decisamente una copertina particolare per un libro che lo è altrettanto. E a spiegarci la particolarità di quest’ultimo è proprio l’autore. Infatti, dice, “la diversità di “True North” risiede nell’essere l’unico libro scritto in italiano che tenta di definire l’identità canadese presentando il Paese sotto molteplici punti di vista: dalla narrazione storica all’analisi del multiculturalismo, dalle vicissitudini delle popolazioni indigene al percorso di integrazione della comunità di origine italiana”. L’intenzione è stata quella, aggiunge, “di dipingere un affresco multicolore al termine del quale spero che il lettore abbia un’immagine più chiara e più completa di un Paese, che ha molte più sfaccettature di quanto si possa immaginare”.
In otto anni trascorsi nella Capitale, Ottawa, visitando nel tempo libero gran parte delle Province e dei territori che formano la Confederazione, Nava di sfaccettature ne ha senz’altro colte tante: “il Canada che descrivo è quello che ho conosciuto negli anni che vi ho trascorso, un’esperienza che mi ha portato a scrivere non un libro di memorie né tanto meno un diario di viaggio, ma piuttosto una descrizione del Canada visto dall’interno, in tutta la sua complessità, una sorta di compendio di tutto quello che credo di avere capito di questo Paese”.
La carriera ha portato Nava a vivere anche in India, a Nuova Delhi, e negli Usa, a Houston. Eppure solo dopo la lunga esperienza canadese ha messo mano a un progetto editoriale…
Cosa ti ha spinto a scrivere “True North”?
“La molla principale è stata la voglia di condividere quello che penso di avere imparato in Canada, un Paese poco conosciuto in Italia nonostante i molti legami che ci uniscono. Quando guardiamo oltre l’Atlantico, il nostro sguardo si ferma prevalentemente sugli Stati Uniti, e il Canada viene spesso considerato una semplice estensione di questi ultimi o, al contrario, come una proiezione dell’Europa oltre l’oceano. La realtà è molto più complessa, ed ho deciso di analizzarla in profondità per dare uno strumento a chi è interessato a conoscere meglio questo Paese”.
Complice la leadership indiscussa del premier Trudeau, stabilmente a capo del governo canadese dal 2015, il volto del Paese oggi non è solo giovane e “pop” ma anche paritario, multiculturale e promotore dell’inclusione come arma da opporre alla logica della violenza e delle barriere. “Stretto” tra gli Stati Uniti, intenti a ricostruirsi dopo la contestata presidenza Trump, e un’Europa che sta facendo i conti con la Brexit oltre che con le disastrose conseguenze economiche della pandemia, il Canada, con il suo boom d’occupazione, è percepito dalle nuove generazioni come una sorta di Terra Promessa.
Quindi i tempi sono maturi per la nascita di un “sogno canadese” al posto di quello americano?
“Il Canada – risponde Nava – fornisce certamente l’immagine di un’altra America del Nord dove le tensioni che agitano periodicamente gli Stati Uniti sono molto attenuate, ma credo che i tempi non siano ancora maturi per delineare un “sogno canadese”. Il Canada nasce con ambizioni molto più modeste degli Stati Uniti e non porta nel suo atto di nascita la volontà di rappresentare un modello universale, come dimostra il fatto che la Costituzione del Canada si limita a indicare nel suo preambolo l’obiettivo del buon governo, mentre nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti vengono orgogliosamente rivendicati il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità.
La storia del Canada – prosegue – è relativamente priva di grandi crisi politiche, e la stessa stagione del sovranismo del Québec è stata combattuta all’interno delle istituzioni molto più che al di fuori di esse. Partendo da questa esperienza che getta le radici in dinamiche prettamente canadesi, come l’interazione tra le “Due Solitudini” francese e inglese dalle quali sono nate bilinguismo e multiculturalismo, è nato il mosaico canadese che presenta al mondo del XXI secolo un esempio ben riuscito di convivenza. Non credo tuttavia che si tratti di un modello facilmente esportabile, né gli stessi canadesi pensano che esso abbia valenza universale. Ma ne sono comunque molto orgogliosi”.
E’ vero, aggiungiamo noi, il “sogno americano” esiste ancora, come la storia recentissima ha immancabilmente confermato, e probabilmente continuerà ad alimentare l’immaginario collettivo. Eppure gli economisti sono di diverso avviso e sostengono che per realizzare quel “sogno” bisognerebbe andare in Canada, un Paese genuinamente meritocratico e con un ascensore sociale ben più performante di quello statunitense. Secondo Raj Chetty, giovane economista americano di origine indiana, una delle voci più accreditate Oltreoceano, oggi le chance di ascesa sociale per chi proviene da famiglie povere “sono il doppio per chi nasce in Canada rispetto a quelle dei cittadini statunitensi”.
E’ alla luce di dati come questi che l’analisi offerta da Fabrizio Nava in “True North” sembra tanto interessante quanto mai utile perché il Canada, Paese grande quanto un Continente, è tuttora molto meno conosciuto di quanto possa sembrare. Colmare questa lacuna, specie per i giovani italiani, è senza dubbio urgente.
Susanna Bonini Verola
Ha vissuto a Parigi, dove ha terminato gli studi in Scienze Politiche, Bruxelles e Washington. Giornalista professionista e TV Producer, ha lavorato nelle trasmissioni di approfondimento di RaiNews24-Rai 3 e per i notiziari Tv di Euronews (Lione). Dopo varie collaborazioni con radio e magazine, approda ad Adnkronos con cui lavora per oltre 10 anni. Rientrata a Roma, ha ripreso a lavorare come freelance per Euronews ed allacciato una nuova collaborazione con il periodico “Fortune Italia”. Dal 2017 coordina Altrov’è.