di Stefania Bertoni Sperduti
Dimenticata dalla storia per ragioni politiche o forse, più banalmente, perché donna. E’ Plautilla Bricci (1616-1705) la prima signora italiana dell’architettura, un nome tornato a circolare dopo l’uscita del romanzo di Melania Mazzucco “L’Architettrice” che ripercorre la vita di questa donna eccezionale, in grado di affermarsi come artista in un secolo di totale misoginia.
Roma, 1849, Porta San Pancrazio: nascosti fra le rovine della maestosa villa del Vascello, fantastica creazione barocca, gli ultimi difensori della Repubblica Romana si battono strenuamente per impedire alle truppe francesi di entrare a Roma. La battaglia termina con la disfatta dei patrioti e con il crollo delle mura di quello che era un palazzo barocco unico a Roma, il capolavoro dell’Architettrice Bricci. Resteranno pochi resti dell’edificio che Plautilla, una donna, aveva realizzato due secoli prima, e che è stato senza dubbio il suo capolavoro. Costruita nel 1663, la villa del Vascello oggi non esiste più: solo lo sperone di roccia su cui poggiava maestosa resiste al passare del tempo, come allora alla furia della battaglia. Dopo il 1849, infatti, i ruderi rimasti in piedi furono abbattuti perché pericolanti, e di essa restano solo le antiche stampe fatte sui disegni dell’Architettrice.
Ma come è riuscita Plautilla, una donna, non ricca, non potente, a primeggiare in una professione al tempo riservata a pochissimi? La risposta sta nel contesto storico e familiare in cui ha vissuto. E in una città, la Roma dei Papi, crocevia di artisti del calibro di Pietro da Cortona, Bernini, Borromini, Maderno e Carlo Maratta che nel ‘600 era attraversata da un fermento creativo senza pari e si adornava delle sue Chiese più maestose, dei palazzi più magnifici: con i denari riscossi dalle tasse, il Papa e il clero regalarono a Roma meravigliose opere architettoniche.
In quel fermento artistico nasceva Plautilla Bricci, figlia di Giovanni, pittore e drammaturgo, uomo eclettico formatosi alla bottega di Pietro da Cortona. Ebbe un mucchio di bimbi, molti dei quali vissero pochissimo. Plautilla era considerata “brutta”, ma forte e caparbia, e si fece strada seguendo le orme del padre che le trasmise il suo sapere, mettendole in mano il pennello e insegnandole a leggere e a scrivere.
Nella Roma dell’epoca le fanciulle puberi venivano chiuse in casa perchè i genitori dovevano a tutti i costi difendere la loro virtù: solo con questa e con la dote potevano infatti riuscire a trovar loro marito. Anche Plautilla visse quindi una vita ritirata, uscendo solo per andare in chiesa. Ma il padre, intuendone l’intelligenza e il talento, la iniziò comunque alla pittura. Con lui copiava le commediole comiche e satiriche, si esercitava col carboncino e iniziava a preparare i colori della tavolozza. Presto iniziò a dipingere: dapprima quadretti con fiori e piccole Madonne fino al giorno in cui, ancora ragazzina, azzardò la sua prima Madonna con Bambino, bloccando il pennello solo alla fine, al momento di terminare i volti. Si narra che, “sconfitta e stanca, Plautilla si addormentò” trovando al risveglio la sua tela perfettamente ultimata. Il padre, davanti allo stupore della famiglia, decise che si trattava di un miracolo e probabilmente fu questo “artificio barocco” ad alimentare la leggenda. Le voci di una Madonnina prodigiosa si sparsero di vicolo in vicolo, fino ad arrivare alle orecchie di una carmelitana, suor Eufrasia Benedetti, monaca di clausura nel Convento di Capo le Case. Plautilla fu convocata, ignara che la fama del suo quadretto avesse già raggiunto il convento. Conobbe così suor Eufrasia e grazie a quell’amicizia, nata attraverso la griglia del parlatorio, incontrò l’abate Elpidio Benedetti, di famiglia patrizia e destinato dal padre alla vita ecclesiale. Per tutta la vita Plautilla ed Elpidio si amarono appassionatamente, pur sapendo di non poter avere una vita assieme. La loro fu una storia clandestina e un connubio intellettuale. Elpidio era un agente del Cardinale Mazzarino e acquisiva opere d’arte per il suo illustre padrone. Conoscendo l’arte e il bel mondo, sceglieva a Roma i migliori tessuti, i mobili ma anche monili di gran moda, finanche gli arredi e i dipinti per decorare il suo Palazzo, il Quirinale. Alla morte dei suoi, disponendo di un gruzzolo consistente, Elpidio chiese a Plautilla di ristrutturare il palazzo di famiglia in via Montesanto. Mai a Roma una donna era stata chiamata a dirigere un cantiere, scrivere un capitolato, discutere con il capomastro e i muratori. Plautilla era oramai un’artista nota, ma dopo esser stata accettata come pittrice all’Accademia di San Luca volle comunque osare di più e l’occasione di quel restauro le fu di sprone.
Grazie alle nozioni matematiche apprese dal padre, iniziò ad occuparsi di calcoli e misurazioni: al posto dei pennelli sul suo tavolo da lavoro comparvero compasso e squadra. Gli operai mal si adattavano a farsi dirigere da una donna e i lavori andarono per le lunghe, ma intanto – come ricorda Mazzucco nel suo libro – Plautilla ebbe il coraggio di farsi chiamare con una nuova parola: “Architettrice”.
La fama di Plautilla è legata a tante altre sue realizzazioni. A Poggio Mirteto, nella Chiesa di San Giovanni Battista, si può ammirare una delle sue opere di maggior potenza, tanto eccezionale quanto dimenticata: la pala d’altare, ovvero lo Stendardo delle processioni, che rappresenta da un lato la Nascita di San Giovanni Battista e dall’altro la Decollazione. Si dice che la levatrice del Santo sia un autoritratto della pittrice, del cui volto non resta alcuna testimonianza.
Un altro prezioso lascito di Plautilla fu l’ideazione e la decorazione della Cappella di San Luigi, nella chiesa romana di San Luigi dei Francesi. Plautilla la progettò, com’era solita fare, interpretando in modo originale i canoni del barocco puro. La pala d’altare raffigura il Santo ammantato di colori freschi, con diversi angiolini nello sfondo mentre la Fede e la Storia si trovano ai suoi piedi. Creò un altare con balaustra e cercò un raffinato marmo rosso per le colonne: il risultato è di tale bellezza da meritare assolutamente una visita. Così come meriterebbe di esser letto (senza farsi spaventare dalle dimensioni) il romanzo “l’Architettrice” (Einaudi). Perché non è mai troppo tardi per scoprire che tra i protagonisti del ‘600 ci fu anche una donna originale e poliedrica come Plautilla.
Stefania Bertoni Sperduti
Nata e cresciuta a Roma, ha studiato per quattro anni in una scuola di formazione psicoanalitica prima di sposarsi e trasferirsi in varie sedi con il marito e le due figlie. Appassionata di storia dell’arte e sempre curiosa di visitare nuovi musei, ha lavorato per tre anni come volontaria nella Delegazione FAI di Roma. E’ attualmente membro del Direttivo ACDMAE con carica di Segretario.
Grazie Stefania per far conoscere una bella storia di una dona coraggiosa, dotata di tanti talenti e chiamata Architettrice che riuscì a conquistare il suo spazio a Roma nel 600.
Grazie per aver scritto con gran maestria questo articolo facendomi scoprire l’architettrice.
Che bella storia, Roma ogni volta da scoprire. Grazie Stefania per questo articolo , riprenderò a leggere il libro ahimé abbandonato sul comodino.