di Francesca Andreini Galanti
Su Roma, a una certa ora, soffia un vento delicato, teso, continuo. Sale da dove cala il sole insieme al pomeriggio ed è come un segnale che avevamo atteso senza saperlo e che riconosciamo subito, appena si ripresenta. Ci dice che la giornata cambia direzione e dalle cose del mattino, la preparazione e l’impegno, si va verso le conclusioni, gli ultimi affanni già lambiti dalle onde basse e lente della sera.
È un vento incessante e sicuro che si presenta ogni giorno a rinvigorire le primavere, a lenire le estati. Soffia sul mare, prima, e saltella fra onde e spruzzi lievi, solletica le acque. Poi si spande lieve sulla sabbia e prende i granelli, li rotola, li stende. In uno scatto breve è già oltre, sulla macchia, fra i pini, fra odori resinosi e asciutti e piccoli strepiti di ali fra i rami.
Le prime case basse, gli agglomerati bianchi, i primi intrichi di villaggi grandi e rumorosi.Il vento gentile li attraversa e prosegue sicuro, sulla piana, sulle strade, sulle colonne di auto e i raccordi, sulle bancarelle di frutta appese a una striscia di asfalto, sulle prostitute che aspettano con lo sguardo lontano. Vibra fra i cavi dell’alta tensione e prosegue.
Arriva alle barriere architettoniche della metropoli ma non se ne fa spaventare. Scivola sul cemento, sprizza fra cartelloni e paraboliche, si muove fra i balconi e per i tunnel. Pare che in alcuni quartieri non arrivi più, adesso. Troppo lontani dal mare, ora che la città è così avanzata all’interno, con strade troppo strette e le case una sull’altra così che il Ponentino lì non può farcela. Eppure, altri dicono, anche lì si può sentire.
Uno zefiro che corre sereno dalla notte dei tempi, e prima se ne andava per la pianura e i colli coperti di larici e pini e incontrava solo lepri e istrici che zampettavano fra i tronchi. Raccoglieva l’odore del timo, lo spandeva e lo mescolava con le ginestre, si posava sulle rose canine e vibrava al ronzio delle api. Lambiva tutto questo e proseguiva, per una direzione dove ancora sfiorava e muoveva appena, e raccoglieva e scomponeva chissà dove, chissà quando.
E ancora adesso, con le case accatastate sulle pietre dei secoli e dei millenni, strati dopo strati di mattoni e di gente, di abiti e voci che si intrecciano e si scontrano. Ancora adesso che le vie hanno traiettorie complesse e bloccate di auto ferme ad aspettare, di animi surriscaldati e scontenti. Ancora adesso il vento grazia la città e le porta storie lontane di onde, di foglie, di animali e di notti dei tempi che arrivano fino a noi.
Èun vento descritto e cantato, lodato, benedetto. Perché chi lo sente arrivare, anche senza saperlo, prova un cambiamento da qualche parte, dentro, e se ha fretta prende un respiro, se è angosciato si distrae, se è stanco pensa al letto, se è felice gli viene da cantare. Se è un artista probabilmente si mette a dipingere, o gli viene in mente la facciata di un palazzo. Il Bernini certamente se ne stava molto all’aperto, durante il ponentino. In piedi, in mezzo a una piazza, poggiava il peso su un’anca e osservava lo spazio degradato e spoglio, aspettava il vento e poi si lanciava a immaginare.
E a un musicista, seduto a un tavolino con gli amici a far trascorrere il tempo all’angolo di una via, una qualche volta, gli si erano mossi i capelli sulla faccia, come per il buffetto di uno spirito allegro. Gli era sembrato di sentire una risata partire da qualche parte, in qualche casa, aveva preso subito in mano la chitarra e ci aveva cantato sopra.
Èper questo vento che la città ancora vive e regge, fra i pullman che si incastrano per omaggiare il papa e i governanti che si ritrovano e decidono, si sostengono, si confortano e tramano. Con una specializzazione di millenni unica al mondo, il papa e i governanti, ché nessuna città conserva da così tanto tempo così tanto potere, senza mai essere interrotta, spazzata via, riciclata in qualcosa di nuovo.
Roma regge e non eccede, non si rivolta, non evolve e non rivoluziona. Alcuni fanno illazioni sull’indole indolente, altri ragionamenti seri sulla storia della società e dell’economia. Ma l’idea senz’altro più vera è che Roma ad un certo punto della giornata respira e sorride promesse. Per accorgersene basta trovarsi fuori, all’aperto, possibilmente a piedi e magari in compagnia. Ma non importa. Anche chiusi in una scatola di metallo, bloccati fra gli smog di centinaia di compagni di condanna, sotto il sole che infuoca e grida mute, che stridono dentro. Anche lì, a un certo momento, arriva il vento lieve e teso, continuo. Passa fra le piazze congestionate, smuove le foglie dei platani, scorre sui marciapiedi e i corpi della gente e arriva all’auto, entra nel finestrino, poi nell’abitacolo e sul viso. Un momento e via, poi esce dall’altro lato e va a portare altrove le sue carezze allegre. Su una testa, su una faccia, in mezzo a un incontro o fra le mani di chi serve al bar. Sulle figure perse lungo le prospettive grandi e indaffarate della città. Alle quali, all’improvviso, si alza un lembo, si sposta una frangia, vola un foglio. E che si ricompongono con gesti distratti, leggeri,divertiti, percorsi da una vaga, disinvolta fantasia.
Francesca Andreini Galanti
Dopo la laurea in Lingue e Letterature straniere moderne, lavora nella redazione di programmi televisivi, a Mediaset e a Telemontecarlo. Ha vissuto in Siria, in Senegal e a Washington DC. Ha pubblicato vari racconti e due romanzi: “Nessuno ti puo’ costringere” e “Primi anni a WDC”. Ha scritto per il teatro e il cinema e da oltre dieci anni collabora con la rivista letteraria online “Zibaldoni e altre meraviglie”. Dopo aver ideato e coordinato a Washington il Club ParoLab, per promuovere la letteratura italiana contemporanea in USA, è tornata a Roma, dove da quattro anni tiene laboratori di narrativa e cura gli eventi del circolo letterario Bel-Ami.
BELLISSIMO!