di Paola Ferri De Luca
Per i lettori del notiziario Anna Sanfelice Visconti non ha bisogno di presentazioni.Avvocato, musicista, corista, scrittrice.È stata per diversi anni presidente dell’Associazione Consorti Dipendenti del Ministero Affari Esteri (ACDMAE), occupandosi di tutte le problematiche di famiglie come la sua, soggette a continui trasferimenti.Da poco ha pubblicato un racconto: Crespelle gratinate, edito da Aracne.
Anna, come mai questo titolo?
Le crespelle erano la classica prima portata dei pranzi di Stato. Grondanti béchamel, venivano proposte tutto l’anno, anche con i calori dell’estate romana. Un piccolo, ironico simbolo delle difficoltà incontrate durante quarant’anni trascorsi a fianco di un diplomatico.
Sono stati i miei nipoti, stupiti e increduli nello scoprire la mia infanzia vissuta senza televisione a darmi l’idea di scrivere questo racconto.
Volevo lasciargli come una traccia della vita attraversata dai loro nonni, e l’ho dedicato a loro e alle mie figlie.
Allora per questo hai usato uno stile pacato, privo di enfasi, quasi a non voler turbare il lettore…
Proprio così. Non volevo raccontare di me, ma di come una famiglia vive una esperienza di questo tipo. Le difficoltà, gli incontri, l’essere pronti a togliere e ripiantare le tende dovunque, il desiderio di dare alle figlie il senso di appartenenza ad un Paese a volte percepito come estraneo.
II libro è diviso in capitoli, tanti quanti i vostri traslochi. La vostra prima sede è New York.
New York, una città dal clima pesante e che andava troppo in fretta per me.
Diretta ed essenziale, priva della discrezione europea. Spesso per inquadrarmi rapidamente mi chiedevano dove abitavo e quanto guadagnavo.
Una città però non priva di formalismi: si riceveva in abito lungo e cravatta nera anche in piccoli appartamenti stipati all’inverosimile.
La verticalità dei grattacieli mi dava un senso di spaesamento e per sfuggirlo andavo volentieri a Little Italy, dove trovavo un’Italia congelata agli anni 40, 50, con Sophia Loren e Mussolini nelle vetrine e gli uomini per strada seduti a cavalcioni sulle sedie.
Dopo New York vi trasferite al Cairo…
Il Cairo della fine degli anni ’70 era una città affascinante, con un fondo di antica civiltà in tutti gli strati della popolazione.
C’era un clima di speranza. Finalmente la pace, o la non guerra dopo il discorso di Sadat alla Knesset. I segni della guerra dei Sei giorni erano ancora visibili, ma sui muretti costruiti per ripararsi dai proiettili, erano state scavate delle fioriere.
Forte era il contrasto tra la buona società, ricca ed internazionale, e il popolo, che viveva in case senza acqua corrente e con fornello Primus come unica fonte di energia.
La mia distrazione preferita era, oltre alle visite alle Piramidi, al Museo Egizio, tuffarmi nei profumi di spezie e di olii aromatici del bazaar di Khān el-Khalilī .
Certo, la vita quotidiana e domestica non era sempre facile. Bisognava scegliere tra gli scarafaggi o il veleno delle disinfestazioni, la corrente elettrica che andava e veniva, l’acqua non potabile che occorreva disinfettare anche per cucinare.
La popolarità di Sadat intanto peggiorava, lo chiamavano il Faraone e i discorsi di sua moglie Jehane, il suo tentativo di modificare il diritto di famiglia, limitando la poligamia e assicurando un minimo di tutela alle mogli ripudiate suscitarono una rivolta nell’opinione pubblica. I prezzi salivano e anche le misure del governo per dare impulso alle opere sociali raggiungevano una piccola parte della popolazione.
Ero in Italia con le bambine, quando ricevetti la notizia dell’attentato e della morte di Sadat.
Poco dopo tornate a Roma e dopo sette anni ripartite, questa volta per Londra.
Le mie figlie hanno molto amato Londra e anche io, profittando a piene mani dell’inesauribile offerta culturale di quella città.
Ma, nonostante vi abbia trascorso quattro anni, gli inglesi continuano ad essere per me un mistero. Per loro l’estero è l’altrove, al di là del mare. Terribilmente isolani e profondamente radicati nelle loro abitudini e tradizioni.
Mi diverte ricordare una frase di Beppe Severgnini quando diceva che gli Inglesi sono l’unico popolo capace di trasformare un picnìc in un parcheggio, in un evento mondano e nazionale. Parlava di Ascot.
Dopo il consueto ritorno romano ripartite per Vienna.
Uno shock. Da soli, senza figlie rimaste in Italia a studiare.
Ma ho molto amato l’Austria, soprattutto Vienna e in certa misura anche il resto del paese. Gli Austriaci nutrono una profonda amicizia per l’Italia, molti parlano italiano, forse perché siamo accomunati dall’amore per la musica. L’Austria è stata definita una testa senza corpo: l’Impero è svanito, ma è ancora presente. Un popolo pieno di contrasti, basti pensare per esempio che nello stesso periodo Schiele e Klimt dipingevano i loro capolavori.
Di Vienna mi mancano i concerti e i caffè, luoghi dove trascorrere interi pomeriggi leggendo, discutendo o studiando spartiti musicali.
Dopo una importante parentesi romana ripianti le tende a Madrid.
Un periodo breve e intenso.
Lì ho capito quanto si può fare da moglie di capomissione. Dedicarsi a una comunità, promuovere iniziative avendo una struttura su cui contare.
Credo che gli Spagnoli siano un popolo eccezionale. Latini e asburgici nello stesso tempo, rigorosi e fantasiosi.
Anna, periodicamente alcuni giornali pubblicano articoli attaccando la ‘’ casta dei diplomatici’’. Come risponderesti a questi attacchi?
Io questi articoli non voglio nemmeno leggerli e in realtà ho già risposto.
Il libro che ho curato: NELLA BUONA E NELLA CATTIVA SORTE.
LA FACCIA NASCOSTA DEL SERVIZIO ALL’ESTERO, dove ho raccolto le testimonianze di sedici colleghe che hanno vissuto la guerra, con il suo drammatico corollario: bombardamenti, rapimenti, attentati, fughe, privazioni. Penso sia un argomento inconfutabile di fronte a critiche risibili.
Da questa vita ho imparato molto. Ho potuto mettere le mie competenze al servizio degli altri e dello Stato. Mi ha permesso di conoscere e capire realtà diverse e anche di poter seguire le mie passioni e curiosità.
Come vorresti chiudere questa intervista?
Citando Virgilio “ Forse un giorno servirà ricordare anche questo.”.
Con un punto interrogativo, naturalmente!
Grazie Anna.
Paola Ferri De Luca
Studi in giurisprudenza, ma con la passione per l’arte, si è diplomata alla scuola di Christie’s Education di Parigi. Amante, da buona napoletana, della cucina e delle sue storie. Ha vissuto a Khartoum, Tunisi, Parigi e Shanghai