di Anna Muscetta Fornara
Ad agosto 2022, armata delle migliori speranze e dopo aver riempito meno scatoloni del solito, è cominciata – per me, i miei tre uomini di casa e l’affezionata cagnolina senegalese – la nostra avventura a San Paolo del Brasile. Mentre scrivo, a fine maggio, dopo meno di un anno dal trasloco, realizzo che l’avventura si sta già concludendo: rientrerò presto a Roma, città che mi sta mancando più di quanto avrei potuto credere.
Nell’immaginario collettivo il Brasile è un paese “magico”: clima temperato, belle donne e atmosfere tipicamente tropicali, intrise di musica e di allegria, che si respirano su spiagge assolate, dove si vive giorno e notte a ritmo di samba. Ma il Brasile è un paese enorme, quasi un continente, e racchiude tante realtà diverse e ricche.
Una bella canzone di Tom Jobim intona per me poche parole altrettanto magiche su un ritmo suadente di bossa nova: “Ela é Carioca” (“Lei è di Rio dei Janeiro”). E, finalmente, tutto mi diventa chiaro!
Come si può chiedere ad una romana di adattarsi alla vita di San Paolo? Per gli abitanti di questa “New York” del Sud America, che così fieramente rivendicano le loro origini paulistane, essere “carioca” è quasi un insulto. A me pare un miraggio oltre che un complimento. Permettetemi qualche paragone certamente riduttivo: San Paolo sta a Milano come Rio de Janeiro sta a Roma e, a detta di molti, come Salvador de Bahia sta a Napoli. A San Paolo, infatti, non c’è il mare e fa spesso freddo. È una città molto piovosa che vive a ritmo serrato giornate interminabili che possono anche iniziare alle 5 di mattina. Produce, vibra e pulsa di una grande energia che alimenta il motore economico di tutto il paese: alla sola San Paolo si deve oltre un terzo di tutta la ricchezza brasiliana.
E mentre tutti ti immaginano su una spiaggia, a prendere il sole sorseggiando una Caipirinha, tu batti i denti perché le case non sono sufficientemente riscaldate e l’isolamento delle finestre lascia quanto meno a desiderare (specie se il freddo tocca punte record come quest’anno). Qui, infatti, anche le ville più lussuose e i palazzi più moderni hanno infissi quasi inesistenti. E così il mio primo acquisto in loco, in pieno agosto, è stato un orribile plaid di pile marrone per scaldarmi la mattina, mentre stavo al computer.
“Mea culpa – penso – ho sbagliato città!”. Ora lo confesso senza vergognarmi: in mente avevo un altro Brasile ma la realtà è spesso molto diversa dalle fantasie e dalle nostre proiezioni…
Abitiamo in un quartiere certamente bello e molto comodo. La residenza si trova infatti vicino all’ufficio ed è circondata da case di buon gusto e da negozi di ogni genere, da locali e ristoranti. La zona peraltro è considerata “sicura” rispetto ad altre aree “a rischio”: un mix tra Vigna Clara e i Parioli, con un tocco di New York che qui è sempre molto apprezzato. La città poi è circondata da colline ripidissime, un po’ come San Francisco, per cui è difficile indossare scarpe diverse dalle sneakers anche perché, quando piove, si riversano fiumi d’acqua sulle strade. Un bel problema perché da agosto a dicembre, complice – così dicono – il cambiamento climatico, a San Paolo ha piovuto con impressionante regolarità!
Una delle prime avventure sul posto mi ha portato, purtroppo, al Pronto Soccorso, dove il caso ha voluto farmi incontrare il neurologo paulistano Felipe, oggi uno dei miei migliori amici.
Da buon medico, evito da sempre la mia categoria come la peste e ancor di più il Pronto Soccorso. Ma l’elevata umidità mi aveva procurato un terribile attacco di emicrania con aura e avevo terminato la scorta personale di anti-analgesici forti, vere “bombe chimiche” che nessuna farmacia locale mi avrebbe venduto sulla fiducia. Sprezzante dei pericoli di contagio da Covid, senza indugio, mi sono recata all’Ospedale di eccellenza di cui avevo sentito parlare, quello siro-libanese, ovviamente privato, dove mio marito mi avrebbe raggiunta di lì a poco. Arrivata lì, un gentilissimo inserviente mi ha aiutato a preparare le pratiche parlando un po’ di inglese e seguito da un infermiere, altrettanto premuroso, che ha registrato i miei parametri vitali prima di consegnarmi nelle sapienti mani di “Felipe il neurologo”. Qui, infatti, medici ed infermieri si presentano per nome (quello che leggiamo sul camice) e sono a tua completa disposizione, forse anche per farti un balletto e due fili di pasta, tenendo conto della cospicua cifra che l’assicurazione rimborserà. L’ambiente è pulitissimo ed accogliente come un hotel, e c’è pure musica soffusa ad allietarti…Manca giusto un medico alla George Clooney o il neurochirurgo, surfista mancato, di Grey’s Anatomy. E invece arriva Felipe, che non è certo a quei livelli ma è certamente di bella presenza, parla un buon inglese ed è un ottimo professionista. Finalmente mi rilasso: gli spiego che sono anch’io un medico, che soffro di emicrania e che ho solo bisogno di una terapia forte (n.d.r. niente TAC o RMN o altro sennò me ne sarei andata a gambe levate). Lui sorride sornione e constata che in questo modo facilito il suo lavoro. Si accerta che il fondo dell’occhio sia a posto per escludere un picco ipertensivo o, peggio, una patologia cerebrale e poi mi prepara il suo rimedio: cortisone, antiemetico in infusione e un potente antiemicranico, il tutto iniettato in pancia…Quasi una “bomba” di fantozziana memoria!
Da Felipe, data la sua simpatia e il bel modo di porgersi, avrei sicuramente accettato qualsiasi consiglio senza fiatare, anche una prescrizione di latte e miele! E quindi ho preso sul serio anche la sua ultima indicazione, prima di concludere la visita: “Non posso prescriverlo, ma ti assicuro che, preso all’inizio dell’attacco, lo zenzero (n.d.r. potente antinfiammatorio ed antiemetico naturale) funziona meravigliosamente…Provare per credere!”
Dopo sole quattro ore, io e mio marito siamo usciti contenti e rinfrancati da quel Pronto Soccorso delle meraviglie. E adesso, in casa, lo zenzero non manca mai: lo utilizzo per cucinare, per arricchire le tisane, ma anche da masticare al bisogno. Inoltre, ho un nuovo amico, Felipe il neurologo, che gentilmente mi ha lasciato il suo biglietto da visita “per ogni evenienza futura”.
Quante di queste stravaganti avventure potrei raccontarvi…Preferisco, tuttavia, riassumerne il senso, belle o brutte che siano, dicendo che la vita degli espatriati è comunque bellissima perché riserva tante sorprese: l’importante è imparare a prendere ciò che ci regala, anche quando si approda in un paese che avevamo troppo idealizzato.
Rientrerò a Roma certamente arricchita anche da quest’esperienza, avendo più o meno imparato una nuova lingua, qualche bella canzone, e parecchie ricette locali. E con molti amici e compagni di avventura, a partire dal formidabile neurologo Felipe.
Anna Muscetta Fornara
Medico neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta, è mamma di due ragazzi ed esercita attivamente la libera professione.
Nata e cresciuta a Roma, ha svolto lavoro clinico in Italia, in Senegal e Uganda, e lavorato con l’OMS alla pubblicazione di linee guida per la gestione delle malattie neurologiche nei Paesi in via di sviluppo.
Con il marito, ha vissuto in Svizzera, in Africa occidentale ed orientale e, dulcis in fundo, a San Paolo in Brasile.