di Anna Sanfelice Visconti
Quanta storia dietro la facciata del palazzo Della Rovere, tra via della Conciliazione e Santo Spirito in Sassia … Del resto l’Ager Vaticanus, dove si trova, ne ha viste tante nel corso dei secoli; i giardini di Domizia e di Agrippina, il circo di Nerone, luogo del martirio di S. Pietro, la Schola Saxonum per l’assistenza ai pellegrini, fondata da Ina re dei Sassoni, le antiche fornaci – via delle Fornaci è là vicino – per non parlare della necropoli, prima pagana poi cristiana, sotto la basilica.
Il palazzo, fatto costruire intorno al 1490 dal cardinale Domenico Della Rovere, omonimo ma non parente di papa Sisto IV, è, con la Cancelleria e con palazzo Venezia, uno dei pochi esempi di architettura rinascimentale a Roma. Con il trasferimento della corte pontificia ad Avignone l’Urbe aveva vissuto un periodo di abbandono; le macerie delle case in rovina intorno a S. Pietro impedivano ai pellegrini l’accesso alla basilica. Solo con il ritorno di Martino V, e con la sua decisione di risiedere in Vaticano, la zona aveva ripreso vita. L’ospedale di Santo Spirito era stato ricostruito dopo l’incendio che lo aveva gravemente danneggiato, ed erano sorti nuovi palazzi; la bolla pontificia del 1474 concedeva vantaggi non indifferenti a chi avesse innalzato in quell’area edifici alti non meno di sette “canne”, ovvero quindici metri.
Domenico Della Rovere sembra sia stato tra i primi a raccogliere l’invito; il coltissimo prelato farà del suo palazzo la sede di un circolo intellettuale ispirato alla filosofia neoplatonica, e vi collocherà la sua raccolta di libri rari. Al centro del giardino interno l’iscrizione sulla fontana, purtroppo perduta, ornata dalla statua di una ninfa dormiente, invitava gli ospiti a meditare, nel silenzio interrotto soltanto dal lieve mormorio dell’acqua.
Passato, dalla morte del cardinale in poi, attraverso diverse vicissitudini, abbandonato durante la Repubblica Romana, assegnato ai Penitenzieri, utilizzato in parte come scuola comunale intitolata alla regina Margherita, l’edificio, già dimora di principi e prelati, ha rischiato di essere demolito insieme alla Spina di Borgo; verrà finalmente acquistato dalla Santa Sede e assegnato da Pio XII ai Cavalieri del Santo Sepolcro. In questo modo si è salvata, fra l’altro, l’opera d’arte più significativa del palazzo, una delle poche eseguite a Roma dal Pinturicchio e dalla sua bottega: il soffitto dei Semidei.
In una distesa di riquadri lignei ad ottagono, sullo sfondo dorato che sembra mosaico ma è dipinto su carta incollata e inchiodata al supporto, una folla di animali fantastici, mostri, figure allegoriche, sirene, tritoni e satiri, figure inquietanti o armoniose, si presenta allo sguardo del visitatore. Si riferiscono, per lo più, alla lotta tra il bene e il male. Si rifanno, citandole, alle grottesche della Domus Aurea ma declinandole in mille altri modi. Vediamo il basilisco, descritto da Plinio come un gallo con ali di pipistrello e artigli acuminati, sirene seduttrici provviste di specchi e pettini, o che suonano strumenti musicali, e, all’opposto, il cervo alato, simbolo del credente, e l’angelo che tiene in mano la bilancia del giudizio divino. La sfinge è allo stesso tempo simbolo di saggezza e di ambiguità. Un cherubino sta in equilibrio su due cavalli, uno nero e uno bianco; seguirà quello bianco verso la salvezza o precipiterà nella dannazione con il nero? Insomma, il soffitto costituisce una coloratissima, esuberante lezione di morale, contrapposta alla sobrietà di linee della facciata, in cui l’unico ornamento sono le cornici di travertino delle finestre con la scritta Soli Deo (sottinteso Gloria). Nel giardino, recenti scavi hanno portato alla luce reperti archeologici di epoca imperiale, ma soprattutto medioevali, legati ai pellegrinaggi, di grande interesse storico e scientifico, e molto rari a Roma.
Vi domanderete come faccio a conoscere tutti questi dettagli sul palazzo. Semplice. Il mio consorte Leonardo è il Governatore Generale dell’Ordine del Santo Sepolcro. Una visita a palazzo della Rovere può essere l’occasione, dopo aver ammirato i suoi tesori artistici, per conoscere meglio l’Ordine, il cui scopo è mantenere viva la comunità cristiana in Terra Santa attraverso il sostegno a scuole e università, miste e pluriconfessionali, ospedali, parrocchie, asili, orfanatrofi, case di riposo. Senza contare l’attività pastorale ed il soccorso alle famiglie, rafforzato in questi ultimi anni di pandemia, con la distribuzione di medicinali, generi di prima necessità, tablet e computer per lo studio a distanza.
I volontari che lavorano in questa bellissima sede, il mio consorte, e sicuramente anche il cardinale Della Rovere, ne saranno lieti.
Anna Sanfelice Visconti
Napoletana, laureata in Giurisprudenza e Scienze Politiche a La Sapienza di Roma, iscritta all’ACDMAE di cui è stata a lungo Presidente, ha esercitato la professione di avvocato tra un trasferimento e l’altro del coniuge Leonardo Visconti di Modrone. Ha all’attivo diverse pubblicazioni sulle carte conservate nella casa di famiglia a Lauro, sulle consorti che hanno vissuto le turbolenze del Vicino e Medio Oriente, e sui propri ricordi di vita a fianco del marito. I racconti sulla realtà “non solo cocktails” di chi presta servizio all’estero sono contenuti in “Nella buona e nella cattiva sorte” (Aracne, 2014), libro da lei curato con la prefazione di Marta Dassù.