di Maria Rosaria Gallo Colella
Una vita trascorsa al seguito del marito, con valigie e famiglia a tiracollo.
Ci hanno portato dovunque la loro assegnazione lo richiedesse,dovunque ci siamo adattate; e i figli con noi. Ma i figli crescono, diventano indipendenti e cominciano a viaggiare per conto loro, perché ce l’hanno nel sangue. E allora, cominciamo a viaggiare per inseguire i nostri figli. Con loro, ma soprattutto come loro! Ecco dunque il reportage del mio viaggio in Indonesia: VALIGIA IN SPALLA, o anche: viaggio al seguito di mia figlia!
“Sei mesi di scambio presso l’Università di Yogyakarta, Indonesia”. E’ questo il messaggio inviatomi da mia figlia che studia a Ginevra. “Perfetto, per la tesi del master!” Ancora inquieta dopo i viaggi zaino in spalla che l’hanno portata in giro per mezzo mondo con un gruppetto di amici avventurosi, Maria Laura decide stavolta di partire da sola per un mondo lontano; per una città sconosciuta ai più.
Pian piano però mi informo; Yogyakarta è una città enorme, inquinata e caotica, ma molto nota a un turismo colto che la preferisce alla capitale Jakarta per la bellezza dei suoi templi e delle vestigia del culto buddista.
Dopo il primo momento di comprensibile spaesamento, Laura si è ben organizzata, e comincia a raccontarci delle bellezze del luogo. E sorge l’idea: perché non approfittare delle vacanze d’autunno della piccola di casa, Benedetta, per fare il primo viaggio da sole, noi tre donne?
Dribblando le mie indecisioni e dubbi, Laura organizza tutto; soprattutto compra i nostri biglietti aerei, su tratte improbabili e compagnie semisconosciute.
“Stavolta si viaggia a modo mio!” Ancora riluttante, in due giorni completo i preparativi e lascio mio marito in balia dei tre maschi adolescenti: si parte!
Il viaggio è faticoso; ci accorgiamo però di essere nettamente entrate in un altro mondo quando ci tuffiamo, letteralmente, su una sgangherata navetta all’aeroporto di Jakarta e ci imbattiamo in un cartello che indica: donne sul fondo, uomini davanti. Ma ci rendiamo conto con sollievo che neanche le passeggere velate c fanno molto caso.
Giunte a destinazione, Laura prende il controllo della situazione: questo significa avviarci a piedi lungo una trafficatissima arteria cittadina in attesa di individuare, grazie ad una sofisticata app, il nostro taxi (simil-Uber) che ci porterà al residence dove Laura
risiede.
Ha scelto questo edificio pulito e gradevole, circondato da poche casupole contadine, perché almeno qui è garantita la disinfestazione, al contrario degli appartamenti degli studenti indonesiani che per primi ha visitato.
Perché la modalità di viaggio di questi giovani viaggiatori, non turisti, è di vivere come la gente del luogo, come vivono loro.
E infatti nei suoi viaggi alla scoperta dell’Indonesia Laura è stata ospitata nelle case dei contadini ed ha condiviso la loro vita e le loro consuetudini, inclusa una cerimonia animista con sacrifici di animali durante la cremazione di uno dei notabili del
villaggio, morto in odore di santità!
L’ultima sera in città, decidiamo di festeggiare.
Evitando i buffet degli studenti locali, di dubbia igiene e composizione, sperimentiamo una metodologia culinaria tradizionale: il sambal.
Il ristorantino è caratteristico e affollatissimo; ci meraviglia il numero spropositato di lavandini sparsi nel locale, ma rapidamente comprendiamo.
Il sambal è una spezia tipica, piccantissima, che ci viene servita praticamente in tutti i piatti, verdure comprese; i piatti sono belli e abbondanti, ma non ci viene portata alcuna posata.
Tutti mangiano con le mani come da tradizione; dopo il primo momento di spaesamento ci rendiamo conto che il riso delicato e profumatissimo, servito su foglie di bambù, una volta appallottolato ci aiuta a tirar su ogni boccone, anche i più brodosi.
Gli altri avventori dimostrano di apprezzare la nostra capacità di adattamento agli usi locali e con grandi gesti gentili ci indicano le fontanelle che usano per lavare le mani prima e dopo il pasto.
Dopo qualche giorno in giro per templi (magnifico quello di Prambanan al tramonto) a bordo di sgangherati motocicli familiari, partiamo per l’esotica isola di Bali.
Logicamente, scegliamo tra le isole dell’arcipelago quella più lontana dalle rotte turistiche e dalle invasioni dei resort internazionali: Nusa Lembongan.
Arrivare all’isola in modalità “zaino in spalla” è il primo scoglio da superare, soprattutto se invece dello zaino si viaggia con un pratico trolley da città.
Scopro infatti che dovrò trascinarmelo sulla sabbia fino a raggiungere il mare che affronterò con l’acqua alle ginocchia, per poter poi salire sulla barca noleggiata per la traversata.
La fatica di caricarmi la valigia sulle spalle mi viene fortunatamente risparmiata da un arzillo pescatore che la solleva dalle mie braccia e la scaraventa a bordo.
L’isola è perfetta nella sua semplicità; ci teniamo lontani dai grandi alberghi e ci installiamo in un delizioso bungalow con doccia aperta sul giardino, con una piccola piscina dall’acqua verde, caldissima, circondata da statue delle divinità locale in pietra lavica che i giardinieri adornano costantemente di fiori freschi.
La pietra lavica è un po’ dappertutto; scura e duttilissima è usata per statue, muri, giardini.
L’arcipelago è di chiara origine vulcanica e i vari crateri attivi eruttano abbastanza di frequente; la gente dei villaggi viene spesso evacuata.
Vediamo in lontananza il Agung, attivo e incombente. Erutterà pochi giorni dopo la nostra partenza.
La prima mattina ho un problema con la lente a contatto: me la sono infilata malamente nell’occhio che si è irritato e lacrima.
Inforco gli occhiali da sole e mi siedo fiduciosa sul muretto davanti all’hotel in attesa delle mie ragazze andate in avanscoperta.
I surfisti australiani che abbiamo ammirato la sera prima sulla spiaggia mi salutano festosi da un comodo kart con annesso autista; le coppiette francesi scorrazzano su piccoli e agili scooter perfetti per affrontare le colline che ci separano dalle più belle spiagge
dell’isola.
E noi? come faremo il giro dell’isola?
E le vedo arrivare, le mie compagne di viaggio, su due biciclette traballanti trascinandosene dietro una terza, la mia!
Usare la bicicletta nel caotico traffico romano non mi ha preparata a ciò che ci aspetta: otto chilometri di salite impolverate e sconnesse, con improbabili veicoli che ti sorpassano contromano (per noi!)… e sì, perchè qui la guida è all’inglese, e non è facile abituarsi.
Ma la fatica è compensata dagli incredibili scorci che si aprono tra una curva e l’altra, e dall’incontro con festose ragazze del luogo agghindate con abiti tradizionali e le braccia colme di offerte votive alle divinità locali, le cui statue adornano di fiori e avvolgono di
incenso.
Il ritorno è lungo e stancante; scopriamo un passaggio alternativo che taglia la foresta, e ci inoltriamo attraverso poveri villaggi dove i bimbi ci salutano e le mamme chiedono di poterli fotografare con noi.
Nei giorni successivi nuove avventure: a Nusa Penida rimango in barca sotto un sole accecante mentre le ragazze con maschere e pinne vanno a caccia della razza gigante che abita questi scogli.
E infatti ne avvistano una di quasi due metri di diametro, assieme a molte altre specie di pesci e formazioni coralline. Tornano a bordo esauste, ma soddisfatte.
Sulla spiaggia di Canguu mi concedo addirittura il lusso di un lettino su cui provo a rilassarmi mentre Laura e Benedetta affrontano – assieme a decine di altri surfisti – onde alte e minacciose che tentano di cavalcare inforcando la loro tavola.
Ultima tappa del nostro viaggio è Ubud, città nota per il tempio della Monkey Sacred Forest, vastissimo e invaso da piccole e aggressive scimmiette.
L’induismo – religione ufficiale di questa area del paese – pervade la vita della popolazione locale e coinvolge anche i visitatori nella loro semplicità; ogni mattina la giovane direttrice dell’hotel discretamente offre fiori e doni alla statuetta eretta nel terrazzino della nostra camera, per ringraziare la divinità di aver garantito anche per quel giorno ospiti paganti!
Dedichiamo l’ultimo giorno agli acquisti ai mercati locali, allegri e colorati; compriamo artigianato e batik, i tradizionali tessuti dipinti a mano con una tecnica antichissima.
Ogni acquisto prevede una lunga contrattazione: i prezzi non sono mai fissi, ma vanno discussi di volta in volta con i venditori che si dimostrano molto sorpresi dall’abilità di Maria Laura di tirare sul prezzo in perfetto indonesiano!
Anche se in qualche occasione è stata solo la mia “modalità napoletana” (lasciare i soldi sul banco e andar via con l’acquisto) a chiudere l’affare.
Lasciamo Laura ai suoi studi universitari e ci imbarchiamo per il viaggio di ritorno.
Arriviamo a Roma dopo due giorni di viaggio faticoso, ma tranquillo. Entro però in casa leggermente inquieta; squilla il cellulare, mio fratello chiede “E’ finita l’avventura?”
Mi guardo attorno: la lavatrice si è bloccata e trabocca di schiuma, la domestica è sull’orlo di un attacco di nervi; figli e amici dei figli accampati ovunque, la faccia di mio marito mi dice che “ha dato” per i prossimi 24 mesi…
L’avventura? Comincia ora!
Maria Rosaria Gallo Colella
Napoletana di nascita e temperamento , mi sono laureata in Lingue e Letterature straniere presso il prestigioso Istituto Orientale della città partenopea; le lingue le ho poi praticate accompagnando mio marito in giro per il mondo e seguendo le avventure scolastiche dei miei 5 figli. Mi occupo della rubrica sul cinema italiano ” Visti per voi “e della sezione informativa sulle attività del coro Acdmae, nel quale canto da tre anni.
Cara Maria Rosaria, il tuo animato racconto rispecchia perfettamente la personalità esuberante e curiosa che ti distingue e che, evidentemente, hai trasmesso alle tue figlie!! Complimenti per lo spirito d’avventura e per la tua capacità di adattamento, ma è proprio vero che la nostra vera avventura di mamme e mogli è affrontare ogni giorno le difficoltà e le stranezze dei figli adolescenti e conciliare tutto con il particolare lavoro dei nostri mariti, che coinvolge e condiziona gran parte della nostra vita!