di Federica Bartolini Giungi
Si spengono le luci in sala e, nell’attesa che il film cominci, mi trovo a pensare ai minuti che hanno preceduto quest’ ultimo incontro dell’International Film Club. L’arrivo di amici e amiche ormai note, il Cinema Tiziano entrato con leggerezza nella nostra routine, il suo proprietario sempre presente, sempre sorridente, che commenta i film scelti con lo slancio di chi ha il cinema nel sangue. E proprio lui sottovoce mi ha detto, prima di entrare: “Grande film!”
Che avremmo assistito a un’opera particolare lo avevo compreso sin dalla presentazione della Direttrice dell’Istituto Polacco di Roma Adriana Siennicka. Le sue parole, la commozione che traspariva dalla voce, ci avevano reso consapevoli – lo potevo scorgere dalle espressioni sui visi di tutti noi – che la visione non riguardava solo la settima arte e le sue componenti scenografiche e di recitazione, ma era un tributo a tutte quelle giovanissime vite che si raccontavano dal passato.
Un tributo che Varsavia continua a consacrare una volta l’anno, ogni 1° agosto (da ottant’anni) alla più grande ribellione civile contro la Germania nazista, con il suono delle sirene e un minuto nel quale tutto si ferma, come si è fermata la vita di circa 180mila persone in una città rasa completamente al suolo.
Warsaw 44 o Miasto 44, il titolo originale del film, è scritto e diretto da Jan Komasa, brillante talento del cinema polacco contemporaneo. La pellicola, ambientata in una capitale devastata dal conflitto, è forse una delle più importanti del cinema europeo degli ultimi anni anche se questo non sempre traspare dalle pur lusinghiere critiche raccolte fuori dalla Polonia.
Warsaw 44 racconta, senza compromessi di alcun genere, la verità sui fatti atroci della rivolta di Varsavia durante l’occupazione nazista nella Seconda Guerra Mondiale, fra agosto e ottobre del 1944. Ma sarebbe riduttivo fermarsi solo all’aspetto tragico della vicenda. Il film narra di storie di amore e amicizia. Parla di un gruppo di giovani che hanno una vita davanti, studi, sogni, desideri di cui parlano con tenerezza e un po’ di spavalderia. Ma l’Armata Rossa, i presunti “liberatori”, avanza da est in direzione di Varsavia e il gruppo di amici, simpatizzanti dell’Armia Krajowa (l’AK) l’esercito nazionale clandestino, per spirito di libertà e amore per il proprio paese, decide di unirsi all’AK e partecipare alla rivolta contro le forze tedesche di occupazione.
È possibile che un lungometraggio inneggi alla vita mentre mostra per 130 minuti lo svolgersi di una tragedia spesso, purtroppo, dimenticata tranne che nel cuore del popolo polacco? Quei giovani polacchi erano consapevoli delle proprie scelte? Forse sì o forse una buona dose di romanticismo li ha persuasi della grandezza del loro gesto. E noi che conosciamo come è andata la storia di quella parte di Europa, avremmo voluto gridare dalle nostre comode poltrone: “Non fatelo, nascondetevi, il mondo non è puro come i vostri ideali, siete solo pedine di un gioco più grande di voi!”
Un mondo fatto di occupanti e di un esercito russo che, inerte, osservava comodamente accampato sull’altra riva della Vistola, che il massacro si compisse, che i nazisti usassero armi, uomini e munizioni contro quei cittadini per lo più inermi. Un esercito sovietico consapevole, anzi felice, di liberarsi di quei patrioti che, con il loro nazionalismo, avrebbero nuociuto alla causa comunista.
I nostri protagonisti sono giovani uomini e donne e li abbiamo accompagnati nei loro timidi approcci sessuali e negli attimi di tenerezza, tra una battaglia e l’altra, tra una fuga e un appostamento. Abbiamo assistito alla loro caparbietà nel volersi sposare tra le macerie, coscienti che non sarebbero sopravvissuti a lungo ma: “Perdiana, è un matrimonio, bisogna festeggiare!”
Il sapiente uso degli effetti speciali nulla ci ha risparmiato a livello di realismo, quasi a marcare la frattura tra il desiderio di una vita normale e l’orrore della guerra.
Si riaccendono le luci in sala accompagnate da un lungo sospiro. Siamo usciti commentando la bellezza del film ma sgomente, dopo esserci immerse in una storia così tragica.
Ho salutato la Direttrice Siennicka. Stringendole la mano mi sono complimentata per la scelta del film anche se, lo ammetto, ero ancora un po’ scossa. E lei sorridendo mi ha risposto: “Capisce ora perché amo la mia città? Capisce perché il mio essere è indissolubilmente legata a Varsavia?”
“Sì, cara Adriana, lo capisco.”
Federica Bartolini Giungi
Laureata in Scienze Politiche a Bologna, ha conseguito un Master nell’Insegnamento dell’Italiano L2 all’Università Ca’Foscari di Venezia. Dopo varie esperienze nelle istituzioni UE e all’UNHCR in Camerun, ha insegnato la lingua italiana agli stranieri, sia in Italia che all’estero, nella convinzione che l’integrazione passi attraverso la conoscenza della lingua. Dopo quattro anni trascorsi a Bucarest e’ rientrata a fare parte dell’attuale Direttivo con la carica di consigliera responsabile del Gruppo di Lettura e Conversazione in Italiano e delle attività culturali in generale, incarico che tra l’altro le sta consentendo di mantenere viva la sua passione per i libri.